Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

15/12/2008

Montecitorio, Sala della Lupa - Consegna alla Signora Ingrid Betancourt del Premio Pellegrino di Pace promosso dal Centro internazionale per la pace fra i popoli di Assisi

Sono particolarmente lieto che la Camera dei deputati ospiti la ventesima edizione della cerimonia di consegna del prestigioso Premio Pellegrino di Pace che il Centro internazionale per la pace fra i popoli di Assisi assegna ogni anno ad una persona che abbia lavorato con opera straordinaria al fine di favorire l'amicizia e la solidarietà fra i popoli.

Ringrazio il Centro di Assisi, giunto al suo trentesimo anno di attività, per aver offerto l'occasione di accogliere nella sede parlamentare Ingrid Betancourt, reduce da un intenso viaggio in cui ha toccato otto capitali latino-americane, per sensibilizzare l'opinione pubblica e le classi dirigenti circa la necessità di lavorare per il rilascio di tutti gli altri ostaggi ancora in mano alla guerriglia colombiana.

Non è infatti la prima volta che il nome della Signora Ingrid Betancourt risuona nel Palazzo di Montecitorio. Nei sei lunghi anni del suo sequestro, l'Assemblea della Camera, la Commissione Affari esteri, il Comitato permanente sui diritti umani hanno a più riprese denunciato la violenza da lei subìta e ne hanno a gran voce richiesto la liberazione.

L'Italia è sempre stata vicina alla Colombia per legami storici, linguistici e culturali; e non è un caso che il nostro Paese sia stato in prima fila nella mobilitazione internazionale per la liberazione della Signora Betancourt e degli altri ostaggi.

Per una felice coincidenza, proprio mentre la Signora Betancourt veniva finalmente liberata - all'inizio dello scorso mese di luglio - la Camera dei deputati votava all'unanimità una mozione - la prima della nuova legislatura - che impegnava il Governo italiano a sostenere ogni sforzo a favore suo e degli altri ostaggi ancora nelle mani delle FARC.
Quella mozione ricordava "i principi e i valori di libertà e democrazia che appartengono al DNA costituzionale, politico e culturale dell'Italia". Sono gli stessi princìpi che in tutto il mondo hanno animato la straordinaria mobilitazione suscitata dal caso Betancourt, testimoniata dal riconoscimento di oltre duemila cittadinanze onorarie, tra cui quella del Comune di Roma.

Sono gli stessi princìpi che hanno animato il popolo colombiano in una fase difficilissima della sua storia, contrassegnata da molti eventi terribili e luttuosi. Lungo è infatti l'elenco di quanti hanno pagato a caro prezzo - in molti casi con la vita stessa - la scelta dell'impegno politico e civile in un Paese difficile perché tormentato dall'alleanza criminale tra il terrorismo politico ed il narcotraffico.

Desidero dare pubblicamente atto al governo colombiano della serietà e dell'efficacia dimostrata nella liberazione della Signora Betancourt, salutando cordialmente il suo ambasciatore a Roma, l'ex ministro dell'interno Sabas Eduardo Pretelt de la Vega.

La comunità internazionale deve quindi continuare a sostenere gli sforzi del popolo colombiano per uscire dalla crisi, liberarsi dall'abbraccio mortale della criminalità e del terrorismo e quindi vivere pacificamente e democraticamente.

Quel che dobbiamo promettere ad Ingrid Betancourt è che la Colombia non esca dalle prime pagine dei giornali, non venga trascurata dall'attenzione dell'opinione pubblica mondiale, dopo che il suo dramma personale ha cessato di fare notizia.

Questa vicenda drammatica ha infatti dato occasione ad una rinnovata solidarietà tra l'Europa e l'America Latina che ha trovato espressione nella comune mobilitazione umanitaria, che ora non deve disperdersi nella soluzione del caso individuale. Sarebbe ingiusto verso i nostri popoli, oltre che nei confronti della sofferenza della sua protagonista.

L'odierna scelta della Signora Betancourt di cercare una nuova dimensione della politica, di parlare a nome di chi non ha voce, di armarsi della forza della parola per combattere l'odio e la violenza, di insistere nel voler cambiare le cose usando la via democratica, di preferire un secondo di libertà ad un'eternità di servitù, è la conferma di un'alta coscienza morale e di una non doma volontà di emancipazione dei deboli e degli oppressi.

L'alto valore degli ideali politici che animano Ingrid Betancourt forse da solo non basta a spiegarne la straordinaria resistenza alla violenza, all'isolamento alla paura. Essa è stata certamente alimentata dalla ricchezza affettiva ed emotiva della sua famiglia, che ha costantemente lottato per evitare che l'oblio scendesse sulla vicenda e per mobilitare l'opinione pubblica internazionale.

Ma è soprattutto alla sua straordinaria forza interiore che questa donna deve il fatto di essere riuscita nel corso dei lunghi anni della sua detenzione a mantenere integra la sua liberta di pensiero e la speranza nel futuro.

La Signora Betancourt ha espresso un grande bisogno di spiritualità vissuto negli anni di prigionia e colmato nella lettura della Bibbia, da lei definita "un tesoro che non conosciamo, che lungi dall'essere un grosso libro polveroso contiene invece tutte le risposte".

La sua evocazione della forza della gente senza nome che può diventare una formidabile arma rimanda all'esempio di San Francesco d'Assisi - il patrono d'Italia alla cui lezione si ispira il Premio Pellegrino di Pace - che si rivolgeva direttamente ai reggitori dei popoli richiamandoli ai loro doveri, armato della sua sola fede.

"Sono convinta che quando parliamo cominciamo a cambiare il mondo" - ha dichiarato recentemente Ingrid Betancourt.

Signora Betancourt, la Sua lettera dall'inferno della prigionia, che miracolosamente emerse dal buio della foresta dopo anni di silenzio ha già parlato a tutto il mondo nella sua nuda verità in cui la forza si fonde con la disperazione, la sofferenza con la speranza.

Con la Sua testimonianza dopo la liberazione, Lei ha però dato a tutti noi - e soprattutto a chi ha cariche e responsabilità politiche e istituzionali - un'altra lezione dopo quella della resistenza coraggiosa: se la politica trova la via della spiritualità in accordo costante con i diritti fondamentali dell'uomo, può avventurarsi nell'utopia e non rinunciare a cambiare la realtà dell'umanità per costruire la nuova civiltà.

Facciamo perciò nostre le parole che ha pronunciato nell'aula del Parlamento europeo lo scorso 13 ottobre, quando ha ricordato non solo i suoi 27 compagni di prigionia in Colombia, ma anche Aung San Su Khi - il simbolo della Birmania oppressa - ed il soldato israeliano Guilad Shalit: "Devono sapere che fino a che non avranno ritrovato la loro libertà, ognuno di noi si sentirà prigioniero".

Il Premio che oggi Le viene conferito sia solenne riaffermazione di questo sacrosanto impegno per la dignità della persona umana ed augurio di pace per Lei, per la Sua famiglia e per il Suo popolo.