Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

17/02/2009

Montecitorio, Sala della Lupa - Convegno "1909- 2009, i cent'anni del Futurismo"

Oggi ricordiamo uno storico evento culturale. Il 20 febbraio del 1909 Filippo Tommaso Marinetti lanciava, dalle colonne de "Le Figaro", il primo Manifesto del Futurismo. Da quell'evento scaturì un movimento che contribuì in modo non secondario a caratterizzare il Novecento italiano, non solo nel campo dell'arte e della letteratura, ma in quello più generale della comunicazione, del costume, del linguaggio.
Saluto e ringrazio gli studiosi che hanno accolto il nostro invito a portare il loro autorevole contributo al convegno: Gino Agnese, presidente della Quadriennale di Roma e biografo di Marinetti e di Boccioni, Carlo Fabrizio Carli, storico dell'architettura e autore di numerosi saggi sull'arte italiana tra le due guerre, Enrico Crispolti, storico dell'arte dell'Università di Siena e studioso che ha fornito un importante contribuito alla rinascita dell'interesse scientifico per il Futurismo, Matteo D'Ambrosio, storico della letteratura dell'Università di Napoli, Elena Pontiggia, storica dell'arte dell'Accademia di Belle Arti di Milano, Paolo Valesio, storico della letteratura italiana della Columbia University di New York.
Saluto in particolare le figlie di Marinetti qui presenti, Vittoria ed Alba.

Con questo incontro, la Camera dei deputati intende sottolineare il ruolo che le Istituzioni devono svolgere per promuovere presso i cittadini una consapevolezza sempre maggiore del patrimonio culturale comune. E' mia convinzione che la memoria storica di un popolo non sia determinata soltanto dagli eventi, dai personaggi o dai processi sociali, politici ed economici.
La memoria è anche e soprattutto bellezza.
Bellezza dell'arte.
Bellezza che esprime valori.
Bellezza che educa al rispetto dell'uomo e della sua civiltà.
Bellezza che stimola le energie creative di un Paese. E di un Paese come l'Italia in modo particolare, dove la ricchezza delle testimonianze artistiche è più ingente che altrove.
Il Futurismo, in particolare, ebbe l'ardimento di scorgere la bellezza nel dinamismo delle forme e dei colori.
La bellezza come cultura segna in modo profondo l'identità italiana. E' un valore civile che rafforza l'autocoscienza nazionale e che obbliga, non solo alla tutela e alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale, ma anche all'accrescimento ulteriore di questo stesso patrimonio attraverso la produzione di nuove idee e di nuove creazioni. Mai come oggi, nella civiltà della comunicazione e dell'informazione, appare centrale la ricchezza immateriale delle idee e della cultura nella vita collettiva, compresi i suoi ambiti economici.
Non per niente, in quello che è definito "Italian style" , sono in molti a scorgere il segno della creatività italiana accanto alle indubbie doti di professionalità e intraprendenza degli operatori economici.
Il mio auspicio è che cresca la consapevolezza nelle Istituzioni e nei cittadini della necessità di investire nel campo delle idee e della ricerca, che vanno annoverate tra le grandi risorse strategiche di un Paese unico al mondo come il nostro.

La magnifica intuizione di Marinetti e dei futuristi fu proprio l'idea che l'arte dovesse uscire dalle modalità ripetitive e canoniche per immergersi nel flusso della vita nazionale.
Era il sogno dell'arte che viveva dentro la società in trasformazione.
Era l'abbattimento delle barriere tra gli ambiti della comunicazione sociale.
Era l'estetica della modernità e della velocità.
Il Futurismo fu pittura, scultura, letteratura, architettura, teatro, fotografia, musica, danza, moda, design, gastronomia, grafica e tante altre cose ancora, tra cui il linguaggio dell'allora nascente cinema. Fu, come diremmo con parole di oggi, il primo movimento multimediale della società moderna, che contribuì a porre la cultura italiana dei primi del Novecento all'avanguardia in Europa.
Molti studiosi ripetono che dopo il Rinascimento - e fatte ovviamente le debite differenze storiche e di valori culturali - quella del Futurismo fu la seconda volta in cui l'Italia diffuse in modo significativo e profondo un movimento artistico e un'estetica al di fuori dei confini nazionali.
Tra le tante esperienze, non possiamo dimenticare quella del Futurismo russo e della grande e tragica figura di Majakovskij. Nel corso del Novecento, grandi artisti in tutto il mondo hanno riconosciuto l'influenza delle idee futuriste sulla loro opera.

Il Futurismo ci riporta insomma a una stagione particolarmente creativa della nostra storia. L'Italia di quegli anni era una straordinaria fucina culturale.
Pensiamo alla grande stagione delle riviste del primo Novecento.
Vale la pena ricordare che, due mesi prima del lancio del Manifesto del Futurismo, era uscito il primo numero della "Voce" di Prezzolini. Questa circostanza va sottolineata nonostante sia noto che i rapporti tra futuristi e vociani siano stati tutt'altro che idilliaci.
Rimane il fatto che la vivacità culturale italiana di allora era l'espressione di un Paese che nutriva il desiderio fortissimo di entrare pienamente nella modernità lasciandosi alle spalle passatismi, immobilismi e ritardi. Il Futurismo seppe esaltare la velocità e la potenza delle macchine della civiltà moderna trasformandole in un mito per tutta la società. Boccioni, Carrà, Balla, Severini, Russolo e gli altri abolirono la prospettiva tradizionale in favore di una visione da più punti di vista capaci di esprimere il dinamismo degli oggetti in movimento.
Ma su questo e altri aspetti torneranno con maggior esperienza della mia gli studiosi che sono oggi con noi.

Ritengo opportuno a questo punto di sottolineare anche che il Futurismo, come tutti i grandi movimenti capaci di esprimere lo spirito di un'epoca, fu un fenomeno complesso, nel senso che nella sua prospettiva culturale erano presenti anche aspetti che dobbiamo respingere in nome di quei valori di pace e umanità che sono patrimonio stabile e condiviso dell'Italia e dell'Europa di oggi.
Non possiamo certo accettare l'esaltazione della guerra come "sola igiene del mondo" contenuta nel Manifesto futurista. C'è da dire che quell'affermazione venne fatta prima che l'Europa venisse sconvolta da due guerre mondiali distruttive e devastanti e che gravano ancora, soprattutto la Seconda, sulla sua memoria.
Ma non c'è dubbio che quell'affermazione sia sideralmente distante dalla nostra sensibilità e contrasti con i valori sanciti dalla nostra Costituzione, in particolare con il ripudio della guerra in essa stabilito.

Non va certo individuata lì, in quello spirito bellicista, la parte più feconda del Futurismo. Quell'affermazione va semmai letta come il sintomo delle potenzialità di violenza che sono insite nella tecnologia, accanto però agli immensi benefici che essa è in grado di apportare all'umanità.
Del resto, se è vero come è vero, che sono sempre gli uomini a muovere le macchine, è altrettanto vero che non dobbiamo e non possiamo separare mai la tecnologia dai valori dell'uomo. Da questo punto di vista, l'estetica della macchina e della velocità può avere esaltato il legame intimo che c'è tra l'uomo e la macchina stessa.

La grande eredità del Futurismo è non solo, come è ovvio, nell'immenso patrimonio di opere d'arte e di creazioni che ci ha lasciato. E molte, duole dirlo, sono fuori dai confini nazionali. Ma è anche e soprattutto nello spirito di fiducia verso il progresso che continua, dopo un secolo, a ispirarci. E' l'attenzione costante e la forte curiosità per le novità. E' l'invito a esplorare tutte le possibilità di cambiamento della nostra vita che vengono dalle innovazioni tecnologiche e scientifiche. E' l'idea che la società moderna vive di creazioni quotidiane e continue. Creazioni della fantasia non meno che creazioni dello studio e della ricerca.
Per l'Italia in particolare credo che la lezione del Futurismo sia una spinta a non perdere mai la capacità di guardare con ottimismo al domani. Nel nostro Paese ci sono grandi riserve di creatività che occorre risvegliare e valorizzare. E' certamente l'esperienza del passato. Ma credo anche che sia una garanzia di fiducia nel futuro.