Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

20/02/2009

Roma, Parlamentino del CNEL - Intervento in occasione della presentazione del VI Rapporto del Cnel sul tema "Indici di integrazione degli immigrati in Italia"

L'integrazione degli immigrati nel nostro Paese rappresenta una sfida che le Istituzioni e la società civile hanno il dovere di vincere. Dall'esito di questa sfida dipende la possibilità stessa dell'Italia di avere un futuro di coesione sociale e pluralismo culturale, nel segno dei suoi storici valori di civiltà e dei princìpi di rispetto della dignità della persona umana sanciti dalla Costituzione.
Ho accolto con piacere l'invito del Presidente Marzano di partecipare alla presentazione del VI Rapporto del Cnel sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia. Lo ringrazio e li saluto unitamente alle altre autorità presenti. E' mia convinzione che questa importante ricerca del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro rappresenti uno strumento prezioso per le Istituzioni. L'illustrazione, regione per regione, delle capacità dell'Italia di garantire agli immigrati regolari occupazione, status sociale, servizi adeguati alle loro necessità può offrire un valido quadro di riferimento, basato sull'esperienza concreta, per interventi tesi a promuovere il pieno inserimento dei lavoratori stranieri nel tessuto sociale e culturale del nostro Paese.
Una delle principali indicazioni del Rapporto è che occorrono politiche nazionali in grado di determinare un indirizzo complessivo favorevole ai processi di integrazione che avvengono sul territorio.
Sono indicati i princìpi generali della cittadinanza sociale (in particolare il lavoro e la scuola) e della cittadinanza politica: dal riconoscimento del voto amministrativo per chi ha alcuni requisiti ad una nuova regolazione dello stesso diritto di cittadinanza.
La mia opinione non si discosta molto dalla relazione, come già ho avuto modo di dire in altre occasioni. Vorrei qui sottolineare che l'obiettivo delle politiche di integrazione deve essere in primo luogo quello di favorire la crescita civile di nuovi italiani consapevoli del contributo che essi possono fornire al progresso della nostra società. Ne consegue, come principio guida, che l'acquisizione dei diritti deve accompagnarsi sempre alla coscienza dei doveri.

Per meglio definire il quadro odierno dei processi di integrazione non possiamo prescindere -come raccomanda Giorgio Alessandrini nella sua bella introduzione - dalla crisi economica, che colpisce per prime le fasce più deboli della società, con il conseguente rischio di disoccupazione, impoverimento dei redditi.
In questo contesto c'è da rilevare che l'interesse dei lavoratori immigrati è comune a quello di tanti lavoratori italiani. Per gli uni e per gli altri, appaiono decisive - sottolinea sempre Alessandrini- misure anticrisi come l'estensione e il potenziamento degli ammortizzatori sociali unitamente ai processi di formazione e inserimento al lavoro.
E' mio auspicio che le Istituzioni sappiano intervenire con determinazione per impedire che il difficile momento economico favorisca forme di xenofobia e di intolleranza, delle quali cominciano ad arrivare segnali preoccupanti da altre parti d'Europa. Mi riferisco in particolare a quello che è avvenuto in Gran Bretagna nelle scorse settimane, con le manifestazioni contro i lavoratori italiani che sono state giustamente e opportunamente condannate dalle autorità britanniche a partire da Gordon Brown.
Di tutto abbiamo bisogno, per superare la crisi, fuorché di nuove tensioni sociali all'insegna della "guerra tra poveri". Sarebbe il sintomo di un regresso civile particolamrnte allarmante.

Un altro fattore che potrebbe ostacolare i processi di integrazione e fornire ulteriore alimento all'intolleranza è l'allarme sociale che cresce di pari passo con i casi di criminalità che riempiono purtroppo le cronache. I recenti, gravi episodi di violenza sessuale hanno suscitato una legittima ondata di indignazione nell'opinione pubblica, che non può essere sottaciuta o sottovalutata.
Mai come in questi casi dobbiamo mantenere la lucidità e la serenità per respingere l'odiosa associazione mentale tra criminalità e immigrazione che può diffondersi in diverse fasce della popolazione italiana.
Ma, con altrettanta lucidità e serenità, dobbiamo anche affermare che la garanzia della sicurezza e della legalità, soprattutto nei quartieri e nei territori più esposti al rischio della violenza, è condizione necessaria - al pari delle condizioni sociali, politiche e amministrative - affinché i processi di integrazione possano svolgersi liberamente e senza ostacoli all'interno della società.
Occorre ristabilire nei cittadini la percezione - scossa dai troppi casi in cui al delitto non è seguito il castigo, pur se il colpevole era stato individuato e arrestato - che l'Italia sa garantire il rispetto rigoroso delle regole della convivenza civile per tutti e senza eccezioni.
Allo stesso modo, dobbiamo essere consapevoli che il processo di integrazione degli immigrati regolari deve muoversi di pari passo con una lotta efficace alla piaga della clandestinità, che non solo è fattore di insicurezza e degrado nelle realtà metropolitane e nei territori, ma anche la premessa di intollerabili violazioni della dignità dell'essere umano, come il lavoro nero - che spesso si svolge senza le necessarie condizioni di sicurezza - e altre forme di sfruttamento e violenza che ripugnano alla nostra coscienza.
Per l'integrazione degli immigrati nella vita del nostro Paese occorrono insomma due condizioni fondamentali: inclusività e fiducia.

A queste condizioni occorre aggiungerne una terza, di carattere più generale e che riguarda la capacità dell'Italia di ridefinirsi come nazione in vista del futuro multiculturale - per molti aspetti già presente - che riguarda l'Europa intera. Parlando di integrazione, ritengo che dobbiamo superare la logica dell'emergenza e definire un progetto di società più aperta, più evolutiva e più libera.
E' mia opinione che una politica lungimirante debba dimostrare la capacità di non limitarsi a rappresentare i sentimenti collettivi del momento -pur legittimi, ma spesso ingigantiti dall'emotività suscitata, altrettanto legittimamente, dai media - per guardare ad altri e più decisivi orizzonti.

In questo senso dal Rapporto del Cnel arriva l'importante indicazione che l'esperienza italiana si ispira a un modello di integrazione che né pretende l'assimilazione né si limita alla "tolleranza multiculturale", codificando la diversità. E' un approccio che considero giusto: se, da un lato, c'è la necessità di combattere il razzismo, dall'altro occorre contrastare la tendenza all'isolamento da parte delle minoranze di stranieri. Dobbiamo evitare superficialità, ingenuità e ideologismi.
Occorre soprattutto fuggire da quell'atteggiamento dogmatico che punta a congelare lo straniero nella propria identità. Il pericolo è quello di produrre alla fine un "melting pot" fatto di enclaves etniche chiuse e autoreferenziali. Dobbiamo avere la consapevolezza che l'integrazione non implica soltanto la coesistenza di gruppi diversi sotto una stessa legge. L'eliminazione di ogni discriminazione e la realizzazione dell'uguaglianza dei diritti è il primo passo. Il secondo deve essere quello della condivisione di valori e di obiettivi comuni.
Un simile traguardo può essere raggiunto solo quando lo straniero che risiede nel nostro Paese arriva a condividere i princìpi di fondo della nostra società, sentendosi coinvolto nel suo destino senza per questo rinunciare alla propria cultura di origine.

Ritengo che il valore del patriottismo costituzionale e repubblicano possa essere riconosciuto da molti immigrati e crescere all'interno delle varie comunità, integrandosi con le varie culture storiche di appartenenza.
Né dobbiamo dimenticare il ruolo che può essere svolto dalle donne, che rappresentano un importante agente di integrazione, come hanno evidenziato recenti ricerche. E ciò in virtù di una maggiore propensione all'incontro interculturale che dimostrerebbero rispetto agli uomini, i quali tenderebbero da parte loro a vivere in modo meno flessibile il rapporto con la cultura di provenienza.
Si tratta ovviamente di una indicazione che non deve essere vista come una legge valida ovunque e sempre. Però ritengo sia opportuno tenerne conto, anche considerando il ruolo chiave normalmente assunto dalle donne nell'educazione all'interno del nucleo familiare e nella trasmissione dell'identità culturale dentro le varie comunità di appartenenza. E' un elemento, quest'ultimo, che potrebbe rivelarsi decisivo, perché l'immigrazione tende a essere sempre più un fatto di famiglie e non di singoli individui. E ciò rappresenta sicuramente il sintomo di una maggiore propensione di molti stranieri a stabilirsi nel nostro Paese.

Numerosi sono i profili che possono essere analizzati nel definire una valida politica di integrazione. E ve n'è ampia e interessante documentazione nel Rapporto del Cnel.
Mi limito soltanto a osservare, in conclusione, che non c'è alternativa all'integrazione.
Ci sarebbe solo la prospettiva dell'emarginazione per molti nuovi cittadini possibili.
Ma non sarebbe un'alternativa: sarebbe una sconfitta. Una sconfitta per tutti, per gli italiani non meno che per gli immigrati.
Per costruire il futuro del nostro Paese nel tempo della multiculturalità occorre mettere da parte ideologismi di ogni tipo, fobie portatrici di barbarie, sterili rimpianti per un'Italia che non c'è più. C'è solo un'Italia nuova da costruire. Una certa idea dell'Italia da far crescere e da far camminare insieme a tanti nuovi italiani.