Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

26/02/2009

Montecitorio, Sala della Lupa - Presentazione della relazione annuale della Commissione di Garanzia dell'Attuazione della Legge sullo Sciopero nei Servizi Pubblici Essenziali

Sono trascorsi quasi diciannove anni dall'approvazione della legge n. 146 del 1990, che rappresenta, nella storia dell'ordinamento giuridico italiano, una pietra miliare per quanto concerne la complessa materia della regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Da allora, possiamo affermare che una nuova cultura giuridica si è andata progressivamente consolidando, una cultura giuridica che vive nel diritto positivo ed in quello giurisprudenziale e che si fonda sull'esigenza di garantire l'equo contemperamento tra i diritti costituzionali del "cittadino-lavoratore" e i diritti costituzionali del "cittadino-utente".

Al riguardo, come è noto, è stata la Corte costituzionale a puntualizzare, fin da subito, con alcune importanti sentenze degli anni '60 di cui fu relatore Costantino Mortati, che l'autotutela di categoria, di cui il diritto di sciopero è l'espressione più pregnante, incontra i suoi limiti nella stessa Costituzione e, precisamente, nella tutela degli interessi o dei beni da questa collocati ad un superiore o pari livello di garanzia.

Del resto, la riflessione della Corte sul piano giuridico-costituzionale si intrecciava con il rapido evolversi della realtà economico-sociale.

La progressiva "terziarizzazione" della società italiana a partire dagli anni '70, vale a dire meno beni e più servizi non solo alle imprese ma soprattutto alle persone, comportava la "terziarizzazione" del lavoro e, di conseguenza, la "terziarizzazione" del conflitto, con conseguente crescita esponenziale degli scioperi nel settore dei servizi alla persona.

Su questo versante, il fenomeno dell'astensione dal lavoro ha per lungo tempo assunto, nel nostro Paese, connotati del tutto peculiari, dal momento che i servizi essenziali alle persone sono stati prevalentemente e tradizionalmente resi da imprese pubbliche operanti in regime di monopolio.

Ne consegue che ancora oggi, in tempi di faticoso consolidamento del processo di liberalizzazione in questo settore, oltre a rendere l'intero sistema pubblico troppo indifferente rispetto alle perdite economiche provocate dallo sciopero, impedisce, di fatto, l'abbandono dell'utenza a vantaggio di altre forme di erogazione di servizi.

Lo sciopero, quindi, nei servizi pubblici essenziali, diventa tanto più efficace quanto più ingente è il danno arrecato al "cittadino-utente", il quale tende a diventare la vera "controparte" dei lavoratori in sciopero.

L'Italia, da questo punto di vista, continua, a mio avviso, ad essere alla ricerca costante di un vero ordine, vale a dire di un ordine da intendersi come equilibrio di valori, di diritti e di doveri in grado di rendere prevedibili tanto i comportamenti di ciascuno, quanto le conseguenze sociali e giuridiche di ciascun comportamento.

Le regole del sistema creato dalla legge del 1990, sulla cui applicazione ha ben vigilato la Commissione di garanzia di cui oggi si presenta la relazione annuale, sono figlie di una importante stagione storica in cui si è ravvisata l'esigenza di prevedere che il diritto di sciopero, in tutti i servizi pubblici essenziali, dovesse essere preannunciato per tempo ed esercitato nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili.

L'esperienza applicativa di questi anni ha però dimostrato come i mutamenti dello scenario economico e sociale condizionino fortemente le dinamiche interne al sistema delle relazioni sindacali.

Tra le caratteristiche principali dell'esperienza che stiamo vivendo, si deve evidenziare la rilevanza assunta, da un lato, da azioni di sciopero di ampie dimensioni, atte a soddisfare pretese che, nella maggior parte dei casi, non rientrano nella disponibilità del datore di lavoro e, dall'altro lato, dalle astensioni spontanee dal lavoro poste in essere per reagire al mancato pagamento delle retribuzioni o alla inadeguatezza delle condizioni di lavoro: due indici, questi, di un quadro che tende a diventare sempre più critico ed entro il quale il sistema sindacale incontra difficoltà nell'assolvimento delle proprie tradizionali funzioni.

E' auspicabile, dunque, che almeno alcuni aspetti del problema possano essere riassorbiti sul terreno politico delle trattative tra datori di lavoro e sindacati, ma, a mio avviso, è sempre più urgente avviare una riflessione sulla "tenuta" della vigente disciplina di settore per individuarne lacune e prospettare ipotesi di adeguamento alla nuova realtà.

Il diritto di sciopero, che secondo l'articolo 40 della Costituzione, "si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano", non può compromettere oltremisura il godimento di altri diritti della persona ugualmente garantiti in Costituzione, come il diritto alla salute, alla sicurezza, all'istruzione, all'assistenza e previdenza sociale, alla libertà di circolazione e di comunicazione, alla effettiva tutela giurisdizionale delle proprie ragioni.

Non si tratta, ovviamente, di soffocare il diritto di sciopero, ma di armonizzarlo con l'esercizio degli altri diritti di tutti i cittadini in un'opera di bilanciamento che deve tener conto dell'evoluzione sociale.

La stessa dottrina giuslavoristica da molto tempo è tornata ad interrogarsi sulla questione della titolarità del diritto di sciopero, sollecitata soprattutto dal problema di regolare con più efficacia il conflitto nell'area dei servizi essenziali.

Sono, infatti, le urgenze di regolazione della materia che, in un certo qual modo, impongono di uscire dall'astrattezza che finora ha caratterizzato il dibattito sulla necessità di considerare il diritto di sciopero come garanzia unica del sindacato e del singolo.

In una prospettiva ancora più ampia, c'è da chiedersi, in forma interrogativa, se lo sciopero, nei servizi essenziali, debba configurarsi come un diritto che qualunque soggetto collettivo, anche non adeguatamente rappresentativo, può esercitare allo stesso modo.

Occorre, cioè, chiedersi, con onestà intellettuale scevra da qualsiasi pregiudizio di ordine ideologico, se ha ragione Pietro Ichino quando afferma che "fino a quando lo sciopero potrà essere proclamato da qualsiasi organizzazione sindacale o parasindacale, e ad esso potrà aderire qualunque lavoratore, indipendentemente da qualsiasi patto di tregua contenuto nel contratto collettivo dei cui benefici il lavoratore stesso fruisca, continueranno ad essere premiate e rafforzate di fatto non le organizzazioni sindacali capaci di raccogliere il consenso stabile e strutturato della maggioranza dei lavoratori, ma quelle che alzano la voce più delle altre, quelle che si presentano ai lavoratori come più aggressive, facendo ricorso allo sciopero in modo più spregiudicato".

Sono nodi, questi, anche teorici, che investono le fondamenta stesse del diritto del lavoro quale si è storicamente affermato nell'Italia repubblicana.

Nodi complessi, la cui soluzione è stata per troppo tempo rinviata e rispetto ai quali, in un sistema in cui è sempre più rilevante il ruolo degli interessi organizzati, si impone, in modo più specifico, una riflessione sull'adeguatezza dei compiti e dei poteri della stessa Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, chiamata a valutare preventivamente la legittimità della proclamazione di uno sciopero.

Più in generale, invece, la sfida che la politica deve saper affrontare consiste nel far progredire il nostro Paese sul piano dell'efficienza e della qualità dei servizi, assicurando, nel contempo, con il concorso di tutte le componenti, forme sempre più avanzate di effettivo godimento dei diritti costituzionali nel loro contenuto essenziale.

E' questa, se vogliamo, la perenne tensione che innerva gli ordinamenti giuridici di tutti i sistemi veramente democratici e che costituisce la componente dinamica del loro evolversi!