Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

04/04/2009

Mestre (VE), Fondazione del Duomo di Mestre - Lectio magistralis "Le nostre città tra diritto alla libertà e ansia di sicurezza"

Signor Presidente della Fondazione del Duomo di Mestre, Autorità, Signore e Signori! La ricerca della libertà e l'istanza di sicurezza sono una costante del comportamento umano. Da sempre, l'umanità ha tentato di conciliare il bisogno di sicurezza con l'aspirazione alla libertà e lo ha fatto ricorrendo a strumenti di varia natura per esorcizzare la paura. Il sentimento della paura è, infatti, una pulsione fortissima ed ancestrale, funzionale alla stessa sopravvivenza della specie umana ed è stato tra i principali motori della evoluzione della nostra civiltà. Non a caso, fin dai suoi albori, l'umanità ha cercato di esorcizzare, con il ricorso a pratiche di magia, la paura della morte e delle forze soprannaturali, mentre ha affidato all'astuzia, all'esperienza, in altre parole, alla propria ragione, il compito di fronteggiare le varie minacce che hanno condizionato la sua libertà. Il bisogno di ricorrere alla ragione, anzi l'opportunità di affidarsi ad essa, per controllare le insicurezze e le angosce, proprie dei nostri tempi e delle contraddizioni della cultura in cui siamo immersi, si è tramandato fino ad oggi, anche all'interno delle nostre evolute società. Come ha scritto Ralf Dahrendorf, dobbiamo avanzare nell'ignoto, nell'insicuro impiegando la ragione di cui disponiamo per creare entrambe le cose: la libertà e la sicurezza". Anche all'alba del III millennio, è quindi prioritario rendere effettiva, ovunque, la libertà dalle paure e non essere sopraffatti dal clima di insicurezza e di diffidenza. Sono stati d'animo particolarmente avvertiti tra le popolazioni delle grandi metropoli e delle grandi aree urbane, dove gli abitanti tendono, per proteggersi, a rinchiudersi sempre di più in una cerchia ristretta, isolandosi dal contesto sociale e ponendo in essere atteggiamenti in larga misura egoistici. Le società occidentali, del resto, vivono in una paradossale situazione prevista, nella sua lungimiranza, da Thomas Hobbes secondo cui, proprio perché difficilmente razionalizzabile, la paura indistinta e generica è la condizione peggiore per l'affermazione della pace sociale. E noto che al tempo di Hobbes erano soprattutto gli estremisti religiosi e settari ad alimentare quella paura, spesso avvalendosi del linguaggio suggestivo ed apocalittico delle Sacre Scritture. Oggi, paradossalmente, è lo stesso sistema sociale che trova conveniente alimentare, per ragioni politiche o di fazione, una paura indistinta ed anonima, evocando nemici e gravi pericoli per la società anche quando la minaccia non è poi così reale. Del resto, la storia ci insegna che, in ogni epoca, tiranni, dittatori o demagoghi, affermando innanzitutto di voler tutelare la tranquillità della società e la sicura convivenza, hanno minato la vera pace sociale dei paesi da loro governati. Ma si trattava, allora, di insidie visibili ed identificabili. Ai tempi odierni, espressioni generiche come "insicurezza urbana", "criminalità organizzata", "disastro ecologico" ed, infine, "terrorismo" creano, oggigiorno, un allarme che, proprio per la sua indeterminatezza, è più difficilmente percepibile rispetto a quello che, in epoche precedenti, scaturiva da reali e precise minacce. Il principio secondo cui, per Max Weber, "L'aria della città rende liberi" è stato completamente capovolto, anche se il grande studioso dell'Etica protestante si riferiva alla vita delle città come spazio di libertà politica ed economica e, in definitiva, come libero spazio di elaborazione delle idee tutelato dalle mura cittadine e difeso dai soprusi dei signori feudali e dalla stessa arretratezza sociale ed economica delle campagne. In senso più ampio, sono ancora fondamentali, al riguardo, gli studi compiuti da Lewis Mumford (La cultura delle città), laddove egli ha descritto l'evoluzione parallela dei concetti di sicurezza ed insicurezza in parallelo con lo sviluppo che le città hanno avuto nella storia. "La città - scrive Mumford - è il simbolo delle relazioni sociali integrate: essa è la sede del tempio, del tribunale, della scuola; con l'aiuto di tali istituzioni ed organismi la sicurezza e la continuità prevalgono per lunghi periodi, mentre edifici, monumenti, testimonianze permanenti arricchiscono la memoria vivente". Le città, quindi, all'inizio dell'età moderna, costituirono, su scala più grande, quei rifugi per le più qualificate attività umane che i monasteri dell'età precedente avevano rappresentato in un mondo diventato barbaro. Le mura cittadine garantivano, con la loro solidità, il diffondersi di un nuovo senso di sicurezza che, come osserva Giandomenico Amendola (Paure in città. Strategie ed illusioni delle politiche per la sicurezza urbana), rendeva, all'interno dello spazio cintato, il pericolo ed il crimine prevedibile ed evitabile proprio perché vigevano, ben salde, regole e consuetudini che la comunità si impegnava a far rispettare. Verso la fine del Medioevo la differenza tra la città e la campagna si attenuò notevolmente. Durante l'età rinascimentale, le innovazioni nel sistema dei trasporti avevano infatti ridotto la distanza fisica fra queste due realtà e, una volta aperte le vie dei traffici e divenuto più sicuro il contado, erano le città ad essere maggiormente esposte ai pericoli, soprattutto per il rapido evolversi delle armi da fuoco e delle nuove tecniche d'assedio. L'insieme di questi fattori pose freno al processo di moltiplicazione delle città, perché la loro costruzione non rappresentava più, per i nuovi ceti della nascente industria del commercio, l'unico mezzo per ottenere libertà e sicurezza. La ricerca di sicurezza e di protezione fu sostituita, da parte di queste nuove ed aggressive classi sociali, da quel desiderio di espansione e di conquista che avrebbe allargato la sua azione ben al di là degli spazi nazionali e dello stesso continente europeo. Nelle città dell'Ottocento industriale un ruolo fondamentale fu svolto da banchieri, imprenditori e dalla consolidata borghesia delle professioni e delle specialità tecniche. Nei decenni a cavallo tra l'Ottocento ed il Novecento, lo sviluppo delle industrie, dei trasporti e delle comunicazioni segnò una svolta epocale nella storia dell'umanità e connotò la nostra era quale era della civiltà urbana. Il nostro Secolo appare, invece, segnato dall'espansione delle grandi metropoli e dal raggrupparsi delle popolazioni in conurbazioni sempre più vaste. La peculiarità di queste grandi aree è la diversificazione dei loro abitanti e la complessa interazione sociale. Mentre le grandi città del secolo scorso avevano imparato a convivere con diffuse situazioni di disagio e di marginalità che producevano una fenomenologia criminale considerata quasi fisiologica ed endemica, le metropoli di oggi sono percorse da fremiti nuovi, e in larga parte sconosciuti, anche a causa delle attuali forme di comunicazione che trasmettono immediatamente a tutte le fasce sociali e a tutti gli agglomerati urbani le stesse ansie e le stesse insicurezze. Spesso, come ci insegna la più moderna scienza sociologica, l'esigenza di sicurezza è legata alla generica angoscia e a un senso di malessere e di debolezza dei cittadini derivanti da una molteplicità di cause di tipo economico, culturale e psicologico. Oltre, infatti, alla crescente richiesta di azioni di prevenzione e di contrasto al fenomeno della criminalità da parte delle istituzioni preposte, si è sviluppata, nelle popolazioni, una ricerca di autoprotezione che finisce per alimentare un vasto mercato della sicurezza e comporta un uso selettivo dello spazio cittadino. Al riguardo, autorevoli studiosi, come Sophie Body-Gendrot (La paura urbana. Le città francesi al bivio), hanno individuato in tre importanti fattori le cause principali del senso di insicurezza che pervade i cittadini negli ultimi tempi: la fine della "Guerra fredda", nella misura in cui essa ha dato origine a nuovi confronti fra le varie culture; la paura dell'aumento di nuovi potenziali nemici che arrivano dall'esterno (ad es., gli immigrati, gli attentati); la "globalizzazione". Proprio l'idea di "villaggio globale", proposta da Marshall McLuhan (Il villaggio globale), ha dato origine alle premesse teoriche e simboliche utili per analizzare un mondo caratterizzato da flussi di comunicazione che si muovono attraverso circuiti integrati che arrivano a coprire telematicamente l'intero pianeta. Anche sotto il profilo puramente economico, le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione e gli sviluppi della globalizzazione assoggettano l'economia contemporanea a quei processi di internazionalizzazione (crescente espansione dei mercati, dei prodotti e dei servizi) e di finanziarizzazione (ruolo crescente del capitale finanziario nell'economia globale) che producono, ma al tempo stesso eliminano, posti di lavoro, destabilizzando potenzialmente ogni certezza professionale ed esponendo i risparmi delle famiglie a fluttuazioni, quali quelle dei mercati borsistici, mai registrate in precedenza. Tutto ciò alimenta quel profondo senso di insicurezza che il sociologo e filosofo britannico Zygmunt Bauman (Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone) chiama con il nome di "insecurity" e che, più in generale, produce quel "mercato della insicurezza" il quale, come ogni altro mercato, deve, per poter prosperare, alimentare ed accrescere il "bisogno di sicurezza". Secondo Bauman, ci troviamo di fronte ad un circolo vizioso del quale sono vittima le società mature che, per loro natura, sono portate ad inglobare tutte le fasce sociali negli stessi rischi anche se non in tutte le opportunità: la paura generica alimenta il bisogno di sicurezza ed è, a sua volta, alimentata da questo bisogno. Quello della "insicurezza" è un fenomeno complesso che deve però essere "letto" anche alla luce di altre riflessioni. Da un lato, se ci atteniamo soltanto ai dati oggettivi e fattuali, si può facilmente osservare che la crescita della domanda di sicurezza è troppo spesso alimentata da chi, non sempre in buona fede, ritiene di poter trarre vantaggio da una mobilitazione di tipo emotivo dell'opinione pubblica. Dall'altro, i dati statistici nazionali evidenziano che anche se c'è una crescita dell'allarme sociale correlata alle preoccupazioni per episodi di natura criminale, non siamo, tuttavia, in presenza di andamenti comparabili a quelli di altri paesi, dove il tessuto sociale appare molto più sfilacciato di quanto non lo sia il nostro e l'incidenza della criminalità è oggettivamente molto più forte. Ciò non vuol dire, ovviamente, che si sia legittimati a trascurare il tema della sicurezza, anzi! Sbaglia, infatti, chi, non comprendendo che la domanda di sicurezza è un'istanza avvertita, sia pure con intensità diversa, da tutta la società, contrappone, al riguardo, atteggiamenti ispirati ad una visione di tipo puramente ideologico che prescinde dalla conoscenza della realtà. Un "problema sicurezza" esiste e non deve essere sottovalutato. C'è un bisogno di sicurezza che si impone nella società odierna sia come attività statale per tutelare il cittadino da rischi e pericoli sociali, sia come diritto fondamentale, quale condizione "per l'esercizio delle libertà e per la riduzione delle disuguaglianze", come afferma, ad esempio, la legge francese sulla sicurezza quotidiana del 15 novembre 2001. A mio avviso, l'approccio più corretto è quello che, lontano da condizionamenti di ordine ideologico o strumentale, porta ad individuare nella "questione sicurezza" una delle fondamentali verifiche del grado di maturazione e di diffusione della cultura della legalità e dei diritti inviolabili. In quest'ottica, la necessità di garantire una adeguata tutela della sicurezza affonda le sue radici nella piena consapevolezza che ampliare lo spazio dei diritti, degli interessi e degli obblighi significa soprattutto definire il livello di interazione che necessariamente deve intercorrere tra ciascun individuo, la collettività, le istituzioni pubbliche. Da questo punto di vista, libertà e sicurezza non possono essere viste più come un binomio di poli opposti, bensì fungono da "cortina di tornasole" per verificare i progressi compiuti in direzione di un più avanzato assetto della società organizzata. E', quindi, proprio sul terreno delle libertà, e sul contemperamento tra esigenze di libertà ed esigenze di sicurezza che, verosimilmente, si giocherà il futuro dello Stato di diritto e, in ultima analisi, della democrazia. Non vi può essere sicurezza senza legalità, così come non vi può essere legalità senza rispetto della dignità della persona, ai suoi vari livelli: quella della vittima come quella dell'autore del reato; quella della sicura convivenza sociale, come quella degli stessi diritti da tutelare. Che certi gradi di divaricazione tra sicurezza e legalità possano sussistere è inevitabile, entro certi limiti, anche in situazioni ordinarie. Ciò che invece rappresenta un grave rischio è una "cronicizzazione" e "normalizzazione" dell'emergenza, idonee a trasformare il ricorso a misure eccezionali in una sorta di prevenzione senza fine, giustificata dai pericoli di varia natura. In altre parole, il rischio è quello di enfatizzare e di strumentalizzare paure ed insicurezze sociali per imporre vincoli alle libertà, secondo un criterio che negherebbe l'opportuno e indispensabile bilanciamento tra il rispetto dei diritti fondamentali e la necessaria protezione da assicurare all'ordinamento democratico. E' un rischio, questo, causato non tanto e non solo dall'assuefazione all'indebolimento dei diritti, quanto e soprattutto dalla confusione tra due piani temporali completamente diversi. Si rischia cioè, per mutuare una suggestiva espressione di Giovanni Maria Flick, "di confondere l'orizzonte storico dei diritti fondamentali con il transeunte dell'emergenza, annullando, in quest'ultimo caso, lo stabile assetto dei primi". Per semplificare ancora, il rischio è quello di invertire le proporzioni temporali dei due termini. Considerare l'emergenza quale condizione duratura e perenne dell'odierna civiltà, quasi un portato inevitabile ed ineliminabile delle contraddizioni di un mondo poco omogeneo, e considerare, per contro, i diritti quale variabile dipendente, elastica, come qualcosa che può e deve plasmarsi secondo la contingenza storica, comprimibile e, quindi, adattabile alle circostanze. Come insegnano le recenti sentenze della Corte Suprema degli Stati Uniti sul "caso Guantanamo", gli strumenti di garanzia devono rimanere saldi soprattutto nei momenti di emergenza quando la sicurezza individuale e collettiva è minacciata. "Non si possono cioè, come ha scritto il giudice Stevens, usare le armi dei tiranni neppure per resistere agli attacchi delle forze della tirannia". Nella convinzione, allora, che la domanda di sicurezza non può trovare risposta soltanto nell'uso della forza, della coercizione e nella ingiustificata limitazione dei diritti inviolabili, dobbiamo impegnarci per trovare soluzioni innovative ed originali. Soluzioni, ad esempio, che impegnino le istituzioni ad assicurare un adeguato ed effettivo presidio del territorio, a conoscere e monitorare tutti i potenziali rischi, a incrociare e valorizzare le diverse competenze degli organi di sicurezza preposti alla tutela della libertà dei singoli, ciò al fine di ridurre l'imprevedibilità degli eventi. Questo sforzo di conoscenza può e deve avvalersi del contributo di specialisti di diverse discipline. Al delicato lavoro di intelligence deve accompagnarsi la capacità di decifrare gli andamenti demografici e i risvolti che possono derivarne in termini di immigrazione; la scelta di seguire i canali attraverso i quali passa il finanziamento, anche a livello internazionale, delle organizzazioni criminali e terroristiche; la volontà di monitorare l'uso della rete globale della comunicazione. Le istituzioni devono impegnarsi per trasmettere un rassicurante senso di oggettiva capacità di intercettare le diverse ansie di sicurezza, sconfiggendo quella sorta di fatalismo che ci inibisce dalla possibilità di prevenire e governare minacce che, in parte, sono ignote o, comunque, non pienamente individuabili nelle dimensioni e nei potenziali sviluppi. Sono tematiche, queste, su cui l'Europa si sta misurando con uno sforzo incessante e non facile, finalizzato a trovare un punto di equilibrio rispetto anche a paesi di altri continenti che sono molto più ondivaghi di noi nell'attuazione di politiche di prevenzione e di lotta ai fenomeni criminali. Può soccorrerci, in questa delicata materia, proprio il travaglio e la faticosa, ma proficua, evoluzione dell'ordinamento e della giurisprudenza delle istituzioni europee che si è andata configurando e coagulando intorno all'asse della libertà, della democrazia e della dignità umana. L'articolo 6 della Carta europea dei diritti fondamentali afferma il diritto di "ogni persona alla libertà e alla sicurezza". Il vero tema è, quindi, la conquista del concetto di dignità della persona sia sotto il profilo della libertà che della sicurezza. E non è casuale che la nuova frontiera su cui si stanno esercitando le istituzioni europee è la creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia dal cui sviluppo dipendono le prospettive future dell'Unione europea in termini di vera democrazia sovranazionale. E' una questione cruciale nel processo, che è in atto, di costituzionalizzazione dell'architettura europea e di forte attenzione al tasso di democraticità delle istituzioni comuni. E' in gioco il futuro diritto dell'Unione, nel quale si leggono sin d'ora due tratti di cui dobbiamo saper cogliere i distinti significati. Il primo è la prefigurazione di tessuti normativi che devono avere come necessario parametro la Carta dei diritti, sia nelle loro norme di livello europeo, sia in quelle eventuali di carattere nazionale. Il secondo è che, in materia di asilo e immigrazione e di diritti dell'imputato nel processo, le previste leggi europee, proprio perché hanno ad oggetto specifico dei diritti, esprimono una competenza a promuoverli, non soltanto a "non violarli". Proprio sul tema dell'immigrazione il lavoro di elaborazione di una politica comune europea offre molti spunti di approfondimento.