Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

25/05/2009

Catania, Università degli Studi - Lectio magistralis sul tema "Il futurismo: un'avanguardia dall'Italia al mondo"

Illustre Sindaco, Magnifico Rettore, autorità, illustri professori, cari studenti!

Vorrei iniziare con una definizione del futurismo fornita dallo stesso Marinetti. "Il futurismo -scrisse in una lettera al pittore Felix Delmarle del 1913 - è un'atmosfera d'avanguardia; è la parola d'ordine di tutti gli innovatori o franchi tiratori intellettuali del mondo; è l'amore del nuovo; l'arte appassionata della velocità; la denigrazione sistematica dell'antico, del lento, dell'erudito (...); è un nuovo modo di vedere il mondo; una nuova ragione di amare la vita; un'entusiastica glorificazione delle scoperte scientifiche e del meccanismo moderno".
In questa pur densa e sintetica definizione non può certamente esservi racchiuso tutto lo spirito del futurismo. Ma c'è abbastanza per capire perché, a cent'anni dal primo Manifesto, quell'atmosfera d'avanguardia e quella glorificazione del moderno, continuino a interessarci, a scuoterci, a interrogarci, pur nella consapevolezza della loro stretta appartenenza al primo Novecento, e quindi a una fiducia smisurata nel progresso e nella macchina che può apparirci oggi ingenua quanto distante dalla sensibilità contemporanea. Vale la pena di aggiungere che questa odierna sensibilità, in diverse sue espressioni culturali, tende a porre l'accento più sulla riscoperta della lentezza, intesa come riconquista dei ritmi della natura, che sulla celebrazione della velocità tanto cara ai futuristi.
E' il caso di ricordare che negli ultimi decenni è fiorita una robusta "letteratura delle lentezza", che spazia da scrittori come Milan Kundera, Peter Handke, Sten Nadolny a economisti e sociologi come Jeremy Rifkin, Lothar Seiwert, Serge Lotouche.
Il rovesciamento di prospettiva spirituale indicato da tali tendenze non riduce però il richiamo dell'esperienza futurista. Semmai, per reazione, lo accresce. La forza evocativa che proviene dalla storia dell'avanguardia artistica italiana rimane inalterata nel tempo delle disillusioni della cosiddetta postmodernità e della critica a ai luoghi e ai simboli della modernizzazione novecentesca: dall'industria pesante divoratrice d'energia alla frenesia della condizione di vita metropolitana.
Il futurismo appartiene certo alla storia, ma rimane presente nell'immaginario italiano ed europeo come paradigma della tensione al nuovo.
Rimane, ancorché silenzioso, nelle "visioni simultanee" della realtà, delle quali abbiamo oggi esperienza quotidiana attraverso i mass media.
Rimane come percezione delle vita dominata dal movimento costante. Il dinamismo pittorico futurista è compenetrazione con una realtà animata dalla carica vitale delle macchine che divorano lo spazio fisico. Marinetti dichiara guerra alla vita sedentaria perché intuisce che il nuovo mondo tende all'ubiquità.
Dopo un secolo, lo spazio fisico-geografico è annullato nella globalità. Con Internet siamo ovunque e in nessun luogo.
E allora, quel "nuovo modo di vedere il mondo" di cui parla Marinetti appare una possibilità perennemente incompiuta e mai completamente esplorata.
Come esperienza storica, il futurismo è inesorabilmente confinato al Novecento, ai suoi linguaggi, alle sue prospettive estetiche non meno che alle sue illusioni ideologiche.
L'atmosfera d'avanguardia è la temperie elettrica e agitata del secolo breve, veloce e, purtroppo, anche tragicamente distruttivo.
Però lo scatto visionario di Marinetti ci trasmette ancora la tensione verso l'accorciamento delle distanze tra il linguaggio letterario-artistico e il rinnovamento scientifico-tecnologico. I futuristi tentano di rifondare il lessico della società nell'epoca della seconda rivoluzione industriale.
In parte ci riescono, in parte no. Né potrebbe essere altrimenti, perché si tratta di un compito immane, ben superiore alle possibilità culturali del tempo. Di tale difficoltà sembrano consapevoli gli stessi futuristi. Nel Manifesto tecnico della pittura scrivono: "Siamo i primitivi di una nuova sensibilità completamente trasformata".
Rimane il fatto che il futurismo esplorò gran parte delle nuove possibilità di linguaggio offerte dalla società dei primi decenni del Novecento. Marinetti e i suoi sodali operarono il primo grande tentativo di inserire l'arte dentro la società in trasformazione. E furono anche i primi ad abbattere le barriere tra i vari ambiti della comunicazione sociale.
Il futurismo fu pittura, scultura, letteratura, architettura, teatro, fotografia, musica, danza, moda, design, gastronomia, grafica e tante altre cose ancora, tra cui il linguaggio dell'allora nascente cinema. Fu, come diremmo con parole di oggi, il primo movimento multimediale della società moderna.

Ritengo opportuno a questo punto sottolineare che il futurismo, come tutti i grandi movimenti capaci di esprimere lo spirito di un'epoca, fu un fenomeno complesso, nel senso che nella sua prospettiva culturale erano presenti anche aspetti che dobbiamo respingere in nome di quei valori di pace e umanità che sono patrimonio stabile e condiviso dell'Italia e dell'Europa di oggi.
Non possiamo certo accettare l'esaltazione della guerra come "sola igiene del mondo" contenuta nel Manifesto futurista. Quell'affermazione è sideralmente distante dalla nostra sensibilità e contrasta con i valori sanciti dalla nostra Costituzione, in particolare con il ripudio della guerra in essa stabilito.
L'enfasi bellicista di Marinetti trova riscontro nelle campagna per l'interventismo che vedrà i futuristi in prima fila insieme con tanti altri esponenti della cultura italiana degli anni Dieci. Questo aspetto del futurismo va collocato nel clima d'inizio secolo, che vede la società europea percorsa da forti pulsioni rivoluzionarie. Nel 1908, un anno prima del Manifesto di Marinetti, George Sorel pubblica le sue "Considerazioni sulla violenza".
Il legame tra guerra e rivoluzione è molto avvertito presso la vasta schiera di agitatori che si muove sulla scena italiana ed europea d'inizio secolo. Il bellicismo si coniuga spesso con l'anarchismo.
A intuire la portata rivoluzionaria del futurismo non è però solo Mussolini, ma, sul fronte opposto, anche Antonio Gramsci, il quale ribadirà in più occasioni -dalle corrispondenze tenute con esponenti comunisti sovietici agli scritti su "L'Ordine nuovo" - il suo interesse per il movimento marinettiano. Quella futurista gli apparirà, per dirla con Schumpeter, una sorta di distruzione creatrice. "Per i futuristi - scrisse l'intellettuale e politico sardo - distruggere non significa privare l'umanità di prodotti materiali necessari alla sua sussistenza e al suo sviluppo; significa distruggere le gerarchie spirituali, pregiudizi, idoli, tradizioni irrigidite".
Quello che di inaccettabile c'è nel futurismo, quello che davvero non merita di essere oggi celebrato, appare quindi contaminato dal secolo breve delle ideologie, delle rivoluzioni e delle guerre.
In questo senso, l'ambiguità del futurismo è l'ambiguità stessa del Novecento, che fu un secolo di distruzioni ma che, nello stesso tempo, fu anche un secolo di gigantesche innovazioni e di un progresso mai conosciuto nella storia dell'umanità.

E' nel Novecento inteso come secolo di progresso civile che dobbiamo collocare la linea di sviluppo più dinamica e feconda del futurismo. E ciò anche in campi che possono apparire a molti sorprendenti, come ad esempio quello della valorizzazione del ruolo della donna nella cultura.
Il futurismo non fu affatto maschilista, come una prevalente interpretazione storiografica riteneva in passato. Ha scritto in proposito Elena Pontiggia: "Superate le interpretazioni storiografiche che leggevano l'intero futurismo alla luce di quel "disprezzo della donna" dichiarato nel Manifesto, si è compreso che il futurismo è, al contrario, la corrente espressiva, fra le avanguardie della prima metà del secolo, che conta il maggior numero di artiste. In realtà la polemica con l'immagine decadente e letteraria della donna nasceva dalla volontà di contrapporsi da un lato all'enfasi e alla teatralità di tanta cultura simbolista, dall'altro all'intimo naturalismo ottocentesco. Non c'era dunque nei futuristi l'intento di denigrare il genere femminile quanto di proporne un'accezione nuova".
Marinetti seppe promuovere l'opera di tante scrittrici e artiste. Come l'aeropittrice Barbara. Dopo aver notato un suo piccolo quadro nelle vetrine di una negozietto di Brera, il poeta le disse: "Sei una vera futurista. Fai un bel quadro. Lo manderemo alla Biennale di Venezia!".
Tra le numerose presenze del mondo femminile futurista, un ruolo di rilievo spetta alla stessa moglie di Marinetti, Benedetta Cappa, poetessa, scrittrice e aeropittrice. "Ammiro il genio di Benedetta, mia uguale non discepola", disse di lei il fondatore del futurismo. Altre figure di spicco sono Leandra Angelucci Cominazzini e Marisa Mori.
Né possiamo dimenticare la singolare figura di Valentine di Saint-Point autrice del Manifesto della donna futurista del 1912, che della donna celebra la virilità e la violenza. La Saint-Point è anche autrice di un Manifesto della Lussuria, che esalta l'energia sessuale contrapponendola al sentimentalismo.
Marinetti tenterà perfino di "arruolare" Margherita Sarfatti. In una lettera indirizzata nel 1916 - ricorda sempre la Pontiggia - così dice alla scrittrice: "Pur non essendo futurista, vi consideriamo come una energica alleata".
La promozione che Marinetti tenta di scrittrici e artiste non è cosa di poco conto in un tempo in cui è diffusa la tendenza a svalutare il ruolo delle donne nella cultura. Anche in questo si dimostra la forza anticipatrice dell'avanguardia italiana.

Più in generale possiamo dire che il segno più fecondo che il futurismo lascia alla cultura del Novecento è l'idea dell'incontro diretto tra arte e vita, e degli sconfinamenti dell'una nell'altra. Secondo Maurizio Calvesi questa linea arriverà sino alla Pop Art.
La rivoluzione del futurismo sta nel sottrarre l'arte alla sfera della sospensione mistica o intimistica per inserirla nel vortice del dinamismo moderno. E' per questo che il futurismo si ribella alla "supina ammirazione delle vecchie statue, degli oggetti vecchi e dell'entusiasmo per tutto ciò che è tarlato, sudicio e corroso dal tempo", come si legge nel primo Manifesto della pittura.
L'arte vive fuori dai musei e non deve più proporre la contemplazione di un mondo fisso e immutabile. La realtà è un flusso di forze e di energie in movimento. "Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido", troviamo scritto nel Manifesto tecnico. "Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente. Per persistenza della immagine nella retina, le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono. Così un cavallo in corsa non ha quattro zampe: ne ha venti e i loro movimenti sono triangolari".
Coerentemente con questa impostazione, Boccioni, Carrà, Balla, Severini, Russolo e gli altri aboliscono la prospettiva tradizionale in favore di una visione da più punti di vista capaci di esprimere l'energia degli oggetti in movimento.
Nei proclami di Marinetti troviamo anche echi della nuova fisica del Novecento. "Il tempo e lo spazio morirono ieri".
Uno dei suoi esperimenti più arditi è il tentativo di fondere in un'unica espressione poesia e pittura, come nelle famose tavole parolibere esposte a Roma nell'aprile del 1914.
Da quell'evento - ha scritto Luigi Tallarico - la poesia è "liberata dai vincoli grammaticali e vista nelle sue 'significazioni e stratificazioni' che appartengono all'uomo moderno e alla nuova comunicazione tridimensionale di massa (vocale, verbale e visuale). Cioè non più civiltà gutemberghiana, lineare e uninominale".
Marinetti tenta anche di fare giocosamente poesia con i numeri insieme con il russo Chlebnikov. In questo senso - scherzosamente, ma non tanto - Gino Agnese scorge oggi "schegge e frammenti di remote esplosioni futuriste" nella "strana lingua" degli sms, una lingua dominata da libere composizioni di numeri, fonemi, punti e trattini. E' il pensiero sintetico del colpo d'occhio esaltato dalle nuove tecnologie della comunicazione e analizzato dalle moderne scienze cognitive. Con quel tipo di conoscenza giocava un secolo fa Marinetti cercandovi riverberi d'arte.

Ricordare oggi le visioni, le creazioni e le ardite sperimentazioni del futurismo acquista per il nostro Paese un significato particolare, perché quel movimento artistico contribuì notevolmente a porre la cultura italiana all'avanguardia in Europa. Molti studiosi ripetono che dopo il Rinascimento - e fatte ovviamente le debite differenze storiche e di valori culturali - quella del futurismo fu la seconda volta in cui l'Italia diffuse in modo significativo e profondo un movimento artistico e un'estetica al di fuori dei propri confini. Senza alcuna concessione alla retorica, Calvesi ricorda che fu "uno dei pochi momenti mondialmente operanti della cultura italiana".
Il futurismo fu un'avanguardia che, laddove non produsse nuovi futurismi, influenzò in modo significativo le altre avanguardie, o per adesione o per reazione.
Caso emblematico quello della Russia, dove le idee futuriste conobbero una notevole diffusione e dove i contatti con l'avanguardia italiana furono frequenti, soprattutto attraverso l'esperienza dei cubofuturisti di Kamenskij e gli sperimentalismi letterari di Chlebnikov. Nello stesso tempo, il futurismo fu accolto anche in modo molto critico da parte di artisti che tendevano a difendere l'originalità della propria ispirazione. Nel 1913 Majakovskij lanciò un attacco a Marinetti rifiutando la derivazione dell'avanguardia russa dall'esperienza italiana.
In realtà, come dimostrò Vladimir Markov nella sua storia del futurismo russo, l'influenza della nostra avanguardia fu molto più forte e diretta di quanto i russi stessi fossero disposti ad ammettere.
Anche i vorticisti inglesi, in particolare Wyndham Lewis, negarono di aver recepito influenze futuriste. Però Ezra Pound, fondatore e teorico del gruppo, ammise in seguito il suo debito, come anche quello di Eliot , verso Marinetti.
"Marinetti - scrisse nel 1920 su 'Le Figaro' l'importante critico letterario Benjamin Crémieux - ha ragione di proclamare che l'orfismo, il creazionismo, il surrealismo francese, il raggismo russo, il vorticismo inglese, l'espressionismo tedesco, il costruttivismo serbo, in breve tutte le scuole d'avanguardia, nel campo letterario e plastico devono dal 1909 qualcosa al futurismo".
L'interesse per il futurismo che continua ad essere diffuso al di fuori dell'Italia trova oggi un'ennesima conferma nel carattere internazionale delle celebrazioni del centenario del Manifesto. Vale la pena ricordare la grande mostra itinerante tra Parigi e Roma che si è appena conclusa alle Scuderie del Quirinale. E di grande interesse s'annuncia il simposio internazionale su Marinetti che si terrà nel novembre prossimo alla Columbia University di New York.
La volontà di incidere sugli sviluppi delle avanguardie a livello internazionale è già nel programma originario del futurismo. Non per niente il Manifesto uscì sulle colonne de 'Le Figaro'. E sempre la Francia è scelta da Marinetti per il lancio della pittura futurista attraverso la mostra del 1912. La scelta di Parigi non è casuale, dal momento che la capitale francese è considerata anche la capitale internazionale della cultura.
Le adesioni di artisti e letterati arrivano già nel 1912. Una delle più clamorose è quella di Guillaume Apollinaire. "Nella seconda metà degli anni Dieci - ha osservato lo storico della letteratura Matteo D'Ambrosio- l'influenza del futurismo in Francia è riscontrabile sia nelle arti visive che in letteratura, nel ramificato intreccio delle molte tendenze d'avanguardia; è raro non poter individuare tracce di futurismo nelle opere di pittori e poeti".
Marinetti è infaticabile nel promuovere il futurismo al di fuori dei confini italiani. C'è chi in questo senso lo ha definito "impresario dell'avanguardia". In tale espressione non dobbiamo trovare alcunché di dispregiativo, perché uno dei caratteri moderni della cultura deve essere appunto rintracciato nella sua capacità di organizzazione e autopromozione.
E in tale attività Marinetti è impareggiabile. Nel 1910 pubblica due manifesti in cui si rivolge sia al popolo spagnolo sia a quello inglese. Il pittore inglese Christopher Richard W. Nevinson firma nel 1914 il manifesto "Vital English Art" , che Marinetti leggerà nel corso delle sue conferenze all'Università di Cambrige. Influenze futuriste si registrano anche in Germania, Portogallo, Romania.
Nel 1915 il futurismo sbarca negli Stati Uniti. Balla, Boccioni, Carrà, Severini e Russolo espongono al Palace of Fine Arts di San Francisco. La mostra, che resta aperta un anno, farà registrare un numero incredibile di visitatori.
Interessante è inoltre l'influenza in America Latina. Anche lì il futurismo è catalizzatore di avanguardie. Così in Messico, Argentina, Perù e Portorico.
"Nei primi anni Venti - osserva sempre D'Ambrosio - l'influenza del movimento registra la sua massima estensione internazionale. Mentre l'avanguardia europea individua nuove tendenze, che orientano le arti visive verso l'astrattismo, il neoplasticismo, il costruttivismo, nel 1920 Marinetti, in 'Al di là del comunismo', afferma perentoriamente 'Tutti i futurismi del mondo sono figli del futurismo italiano' ".
E' abbastanza evidente il proposito di rivendicare la centralità dell'esperienza italiana nella ricerca letteraria e artistica che si svolge in Europa e in America. Il tentativo si dispiega in modo organico con il manifesto Le Futurisme mondial del 1924. Marinetti si rivolge ai principali esponenti dell'avanguardia nel mondo - da Picasso a Pasternak, Strawinskij e Borges - invitandoli ad accogliere i princìpi del Manifesto di fondazione e indicandoli come continuatori o interpreti involontari dell'estetica futurista.
Al di là dell'intento autocelebrativo, c'è in quell'iniziativa l'originale tentativo di promuovere un movimento mondiale della nuova cultura, nel quale la rivendicazione del primato italiano si sposa con la promozione di una sorta di cosmopolitismo dell'arte.
Anche qui emerge la ricchezza della personalità di Marinetti, dove il forte spirito nazionale si accompagna al rifiuto del provincialismo e si apre all'incontro con la cultura internazionale. Si trattava certo di un difficile, anzi impossibile, equilibrio in un tempo dominato dal nazionalismo. Ma anche qui è possibile forse scorgere l'indicazione di nuove vie possibili. "E' un esempio - osserva Gino Agnese - della possibilità di coniugare l'identità con la diversità. Tra i protagonisti della cultura italiana del Novecento, Marinetti, che esortava a mettere 'la parola Italia davanti a tutto' fu il più cosmopolita. E nessun'altra proposta culturale italiana del Novecento fu accolta e variamente rimodellata all'estero quanto il futurismo".

Metteva la parola Italia davanti a tutto, Marinetti, ma allo stesso modo combatteva l'"Italietta" immobile, provinciale e passatista del primo Novecento. L'idea espansiva del futurismo da lui perseguita era anche l'espressione di un disagio diffuso presso la nuova generazione di intellettuali che si affacciava in quegli anni sulla scena nazionale.
Il nostro Paese era, all'inizio del secolo scorso, una straordinaria fucina culturale. Pensiamo alla grande stagione delle riviste. Vale la pena ricordare che, due mesi prima del lancio del Manifesto del futurismo, era uscito il primo numero della "Voce" di Prezzolini. La vivacità culturale italiana di allora era l'espressione di un Paese che nutriva il desiderio forte di entrare pienamente nella modernità lasciandosi alle spalle ritardi e provincialismi.
Il tratto comune fra quelle esperienze intellettuali nasceva dalla consapevolezza della grande valenza civile della cultura. Tale dato va sottolineato nonostante i rapporti tra gli esponenti di spicco della nuova intellighenzia italiana fossero spesso burrascosi. Vociani e futuristi non andavano ad esempio molto d'accordo. E una spiccata rivalità divideva D'Annunzio da Marinetti.
Però rimane il fatto che quegli intellettuali si proponevano, non solo di cambiare la cultura, ma di cambiare anche l'Italia, o, per meglio di dire, di cambiare l'Italia attraverso i loro scritti, i loro quadri e le loro poesie.
La forza innovatrice di quella cultura fu in gran parte compromessa dai successivi sviluppi politici. Il futurismo rimase imbrigliato dentro il regime fascista, senza peraltro godere di un particolare favore. Si mantenne sempre forte l'amicizia tra Marinetti e Mussolini, ma gli artisti futuristi furono, nella maggior parte dei casi, snobbati e sottovalutati dai gerarchi.
Il sogno politico futurista era in definitiva l'utopia dell'arte al potere. L'idea di Italia promossa da Marinetti, "un'idea generosa, dinamica, futurista, cementata dalla generosità dell'individuo straripante", era troppo alata e stratosferica per poter essere racchiusa in una teoria politica.
Però, dopo cent'anni, possiamo affermare che la rivoluzione futurista ha lasciato egualmente un segno profondo nella nostra società.
Ed è sempre da accogliere l'invito marinettiano a coltivare un'idea generosa del nostro Paese, in contrapposizione alle pulsioni passatiste che si affacciano periodicamente dentro l'anima italiana.