Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

26/05/2009

Montecitorio, Sala della Regina - Presentazione della relazione annuale dell'Istat sulla situazione del Paese

La presentazione del Rapporto ISTAT è sempre un'autorevole e prestigiosa occasione per fare il punto sull'andamento dell'economia e della società italiana.

Lo è ancor di più oggi, nel quadro di una crisi economica che richiede una attenta disamina dei dati reali sulla condizione in cui versa il nostro Paese.

Viviamo un momento di giustificata preoccupazione generale per gli effetti che la crisi sta producendo sulle nostre imprese, sui nostri lavoratori, sia dipendenti che autonomi, ma soprattutto sui giovani, siano essi precari o in cerca di prima occupazione.

Al riguardo, ritengo sia sbagliato aderire acriticamente a quelle diverse scuole di pensiero che tendono ad enfatizzare gli effetti della crisi oppure ad edulcorarli. Così facendo, infatti, si divide la pubblica opinione, mentre è sempre più necessario favorire una maggiore coesione nazionale tra tutte le forze politiche e sociali.

Non spetta, ovviamente, al Presidente della Camera dei deputati formulare in questa sede dati e cifre, come certamente invece farà, con indubbia autorevolezza, imparzialità e competenza, il Presidente dell'ISTAT.

Mi limito a qualche valutazione sulle linee di tendenza che emergono dai dati ufficiali della relazione unificata recentemente presentata dal Governo al Parlamento.

Maggiore debito pubblico, maggiore disavanzo pubblico, calo significativo del PIL, maggiore disoccupazione.

A parte la disoccupazione, inferiore alla media europea, si tratta di dati che aggravano i nodi strutturali fondamentali dell'economia italiana.

A tale proposito, occorre, però, essere convinti, come già lo sono molti osservatori, che la crisi può essere trasformata in opportunità.

Il primo dato positivo che emerge consiste nel fatto che tutti gli interventi di risposta alla crisi dei vari paesi europei si ispirano, di fatto, come avviene anche nel nostro Paese, all'economia sociale di mercato, alla coniugazione tra libertà di impresa e solidarietà sociale.

Spetta, infatti, al mercato sviluppare la ricchezza, ma esso deve essere temperato dall'azione regolatrice delle istituzioni, in un'appropriata dimensione sociale, come appunto tendenzialmente sta avvenendo in risposta alla crisi.

Basarsi, dunque, sulla solidarietà e consentire ai sistemi di protezione sociale di svolgere il loro ruolo di stabilizzatori e ammortizzatori è essenziale per rafforzare la fiducia e per contribuire ad aprire la strada della ripresa.

Per farlo, è indispensabile avviare il confronto tra le parti politiche e le parti sociali per una vera riforma strutturale del nostro Welfare, riequilibrando tendenzialmente la distribuzione tra il peso delle pensioni e il peso della protezione del lavoro e dell'occupazione. Si può farlo guardando, ad esempio, al modello della cosiddetta "flexsecurity".

Occorre, in altre parole ancora, un nuovo patto tra le generazioni che riequilibri la distribuzione del reddito, del lavoro, e della protezione sociale tra anziani, lavoratori maturi, disoccupati e giovani che si affacciano sul mondo del lavoro, o che sono addetti a lavori che alcuni definiscono flessibili e che altri definiscono precari, in assenza di veri ammortizzatori sociali nel passaggio da un lavoro all'altro.

Come è noto, la crisi incide maggiormente sui soggetti, sui settori e sulle aree più deboli d'Italia, come emerge dai dati che verranno ora presentati.

Anche in questo caso, forte è l'auspicio che si realizzi un nuovo patto, un patto tra Nord e Sud, idoneo a trasformare il Mezzogiorno da problema a risorsa.

Quella del federalismo fiscale può essere per il Mezzogiorno una grande opportunità. Il federalismo fiscale, se non disgiunto da quello istituzionale, implica una nuova assunzione di responsabilità, una nuova etica pubblica da parte di tutta la classe dirigente.

Da questo punto di vista, non va persa l'occasione per passare finalmente dal "meridionalismo del chiedere" al "meridionalismo del fare", come pur avviene in alcune aree di quella "pelle a macchia di leopardo" che è oggi il Mezzogiorno.

Questa nuova etica della responsabilità, cui dovrà corrispondere una nuova responsabilizzazione amministrativa e finanziaria degli amministratori meridionali, potrà favorire la nascita nel Mezzogiorno di un nuovo ceto politico e di un nuovo ceto amministrativo.

Non ultima, tra gli effetti che la crisi globale ha prodotto anche sulla nostra economia reale, è la questione, come evidenzia il Rapporto ISTAT, riconducibile all'emergere di varie forme di nuova povertà, soprattutto tra le famiglie giovani e monoreddito, oltre che tra quelle più anziane con basse pensioni e tra quelle formate da neo disoccupati.

Credere nel modello dell'economia sociale di mercato significa farsi carico di tale situazione, apprestando strumenti di intervento adeguati che, oltre a quelli che spettano alle autorità centrali dello Stato, possono originare anche da una rinnovata alleanza tra tutte le forze produttive e quelle del lavoro.

Questo può avvenire nel rispetto delle regole del mercato, in un quadro di responsabilizzazione di tutti gli attori sociali. Una sorta di "patto tra produttori" idoneo a superare gli effetti perversi della eccessiva finanziarizzazione dell'economia, puntando sullo sviluppo dell'economia reale.

Credo che sia questo ciò che ci chiedono gli italiani e soprattutto i giovani.