Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

13/10/2009

Montecitorio, Sala della Lupa - Presentazione del rapporto annuale dell'INPDAP

Autorità, Signore e Signori!

La presentazione del Rapporto annuale dell'Inpdap costituisce un'importante occasione per ascoltare dalla relazione del suo Commissario Straordinario le linee-guida che hanno ispirato la specifica azione dell'Istituto nel corso di quest'ultimo anno.

Quella odierna, però, è anche un'occasione per poter riflettere, più in generale, sullo "stato di salute" in cui versa la pubblica amministrazione italiana dopo molti anni dall'avvio delle grandi riforme degli anni '90 che portarono alla nascita dello stesso Inpdap.

Dal 1993, anno di emanazione del decreto legislativo n. 29, molto è stato fatto in termini di scelte fondamentali per il nostro sistema amministrativo.

Penso, in primo luogo, alla distinzione operata dal legislatore fra fase di indirizzo politico e fase di gestione amministrativa, che ha consentito di attribuire alla dirigenza di tutte le amministrazioni pubbliche un ruolo autonomo e funzionale alla realizzazione degli obiettivi.

La riforma, sotto questo profilo, credo che costituisca una pietra miliare, "un punto di non ritorno" che va riaffermato, perché corrisponde pienamente al dettato dell'articolo 97 della Costituzione e soprattutto ad una rilettura dei princìpi del "buon andamento" e della "imparzialità".

Nell'ambito del settore pubblico sono stati infatti ripensati i modelli operativi per accrescere la produttività a favore dei cittadini-utenti. È d'altronde innegabile che i bisogni dei cittadini debbano essere soddisfatti con la stessa attenzione che la competizione impone alle imprese private, anche se naturalmente siamo spesso fuori da una logica di mercato in senso stretto.

Da questa necessità di fondo è nata la distinzione cara anche alla nostra giurisprudenza, tra privatizzazione "fredda" e privatizzazione "calda", tra privatizzazione cioè volta a ripristinare un quadro di relazioni giuridiche più stabile tra amministrazioni e privati, e privatizzazione da intendere come ripristino, invece, di regole di concorrenza e di mercato e di connessa efficienza e razionalità economica.

Sulla base di questa distinzione fra i diversi tipi di riduzione del pubblico potere al diritto comune si sono alternati, però, nel corso di queste ultime due legislature, diversi interventi normativi di natura ordinamentale, non sempre riconducibili, a mio avviso, alla logica del rafforzamento dell'omogeneità della materia e dell'indipendenza della pubblica amministrazione.

Sotto quest'ultimo profilo, non si possono, ad esempio, non stigmatizzare alcune norme, introdotte da governi sia di centro-destra che di centro-sinistra, che hanno generalizzato e reso automatico il cosiddetto "spoil system" e che di recente sono state dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale secondo la quale (cito testualmente) "la dipendenza funzionale del dirigente non può diventare dipendenza politica, sicché il dirigente non può essere messo in condizioni di precarietà che consentano la decadenza dall'incarico senza la garanzia del giusto procedimento" (cfr. sentt. nn. 103 e 104 del 2007).

In questo quadro, giustamente orientato verso la progressiva affermazione della cultura della responsabilità e della valorizzazione dei meriti, credo che sia indispensabile riflettere sulla necessità di trovare ulteriori strumenti che siano idonei a conciliare il pieno dispiegarsi dell'indirizzo politico di maggioranza con il principio dell'imparzialità dell'azione amministrativa.

In tempi, peraltro, di necessaria razionalizzazione dell'organizzazione e delle risorse finanziarie, non credo che si giustifichi più il conferimento di incarichi e di consulenze fiduciarie a persone estranee all'amministrazione, dal momento che questa scelta rappresenta quasi una rinunzia a rendere efficiente la struttura burocratica di ruolo ed integra, di per sé, una vera e propria fuga dalla effettiva realtà della pubblica amministrazione.

L'eccessiva invasione da parte dei soggetti politici della sfera amministrativa ha portato spesso il sostanziale aggiramento, a livello centrale, ma ancor più a livello locale, della regola del concorso, come veicolo ordinario per l'accesso ai pubblici impieghi.

Le procedure concorsuali, infatti, si basano sulla parità delle condizioni di partenza e su selezioni di tipo imparziale e meritocratico e sono state quelle che, in anni passati, hanno consentito a tanti giovani capaci e meritevoli, anche nelle aree più svantaggiate del Paese, al di fuori di ogni forma di nepotismo, di accedere e di dare ottima prova di sé in tante amministrazioni pubbliche.

Ripristinare sistematicamente, senza alcuna eccezione, la regola del concorso pubblico, come ha cominciato a fare con norme mirate a restituire efficienza all'attività amministrativa il Ministro Brunetta, è oggi più che mai indispensabile.

Si tratta di una delle questione più importanti per assicurare al Paese una classe dirigente di alto livello, da cui dipende la qualità e la trasparenza della pubblica amministrazione che rappresenta l'interlocutore diretto dei cittadini e che è la dimostrazione dell'efficienza o meno di tutto lo Stato.

Bisogna, peraltro, sempre ricordare che i pubblici impiegati, come recita l'articolo 98 della Costituzione, "sono al servizio esclusivo della Nazione" ed è per questo che mi chiedo se sia stato veramente opportuno abrogare, per i cosiddetti dipendenti "contrattualizzati", che sono la maggioranza dei pubblici impiegati, la norma che prevedeva, all'atto dell'assunzione, la promessa solenne di fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione.

La difesa di atti simbolici come il giuramento serve a rafforzare la coscienza civile del Paese e a riconoscere quella dignità cui i pubblici dipendenti hanno pieno diritto, soprattutto quando, come ora, si è costretti, a chiedere loro di sopportare il peso di nuove responsabilità derivanti da riforme strutturali, indubbiamente giuste e necessarie, ma che intervengono in un momento economico e sociale che, certo, non può considerarsi favorevole; e tralascio, perché di tutta evidenza, che giurare fedeltà alla Costituzione assume un positivo riferimento rispetto all'unità nazionale che non può essere oggetto di trattative e di discussioni.

Dico questo perché credo sinceramente che la valorizzazione della figura del funzionario pubblico possa contribuire a rafforzare la fiducia nello Stato e ad accrescere quel senso civico che, da qualche tempo, nel nostro Paese è sceso a livelli inferiori rispetto a quanto avviene nelle altre grandi democrazie europee.

Questo è un fattore cruciale per la nostra convivenza civile e democratica e per poter avere, al centro come in periferia, un'amministrazione pubblica realmente imparziale ed efficiente.