Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

27/10/2009

Montecitorio, Sala della Lupa - Convegno ISLE in occasione del Cinquantenario della Rassegna Parlamentare sul tema "Il Parlamento italiano tra passato e futuro"

Signor Presidente del Senato, Signor Presidente Emerito della Repubblica, Illustri Colleghi che ci avete preceduto alla presidenza delle Camere, Autorità, Signore e Signori!

La Camera dei deputati è lieta di ospitare, in questa storica Sala, una manifestazione per ricordare i cinquant'anni di vita della Rivista "Rassegna Parlamentare". Un saluto e un plauso particolare vanno, al riguardo, al Presidente e al Segretario generale dell'Isle, senatore Pieraccini e professor Traversa.

La Rivista, nata dodici anni dopo l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, ha seguito con costante interesse il cammino della società italiana nella sua evoluzione istituzionale e nel progressivo consolidarsi delle regole, anche informali, che presiedono alla nostra convivenza.

Nel corso degli anni, la "Rassegna" ha ospitato nelle sue pagine un libero ed ampio dibattito che ha sempre tenuto in considerazione le molteplici visioni culturali e di politica istituzionale presenti nel panorama nazionale ed europeo.

Al successo della Rivista hanno contribuito, oltre che gli autorevoli direttori che si sono succeduti nel tempo, anche le proficue collaborazioni con i maggiori costituzionalisti e giuspubblicisti italiani e con gli appassionati e competenti operatori del settore, primi fra tutti quei funzionari parlamentari che, con la loro esperienza professionale, hanno contribuito al riconoscimento effettivo del diritto parlamentare come scienza giuridica, avente dignità analoga a quella degli altri rami del diritto.

L'elevato patrimonio di ricerche e di studi scientifici sui principali temi che hanno caratterizzato lo sviluppo del diritto costituzionale, ci offre oggi un importante panorama in cui appaiono chiaramente delineate tutte le diverse fasi dell'evoluzione del Parlamento; compresa l'ultima che, per molti aspetti, sancisce, se non la perdita, certamente l'indebolimento del suo ruolo di protagonista della mediazione legislativa.

Ripercorrendo la storia della nostra Repubblica, non si può infatti non rilevare che il Parlamento, pur con differenze notevolissime tra un periodo e l'altro, non ha mai svolto una funzione solo ratificatoria, dal momento che si è sempre posto come centro di codeterminazione dell'indirizzo politico soprattutto attraverso l'esercizio della funzione legislativa.

Molte volte, tuttavia, la crisi del Parlamento di cui si parla attualmente viene valutata alla luce di modelli nati da esperienze, e in contesti socio-politici, completamente differenti dal nostro.

Così facendo si finisce per definire crisi quello che, invece, è piuttosto un adeguamento - disorganico ma comunque necessario - delle istituzioni, necessario e fisiologico, alla realtà italiana in profondo cambiamento.

Nella storia del Parlamento repubblicano, del resto, si possono sommariamente individuare quattro periodi, precedenti a quello che stiamo vivendo, in cui le Camere hanno visto sostanzialmente modificarsi il loro ruolo in relazione e in risposta alle situazioni che, di volta in volta, è stato necessario fronteggiare.

Così è accaduto per il primo periodo che coincide con il cosiddetto "centrismo" e con la leadership di De Gasperi; per il secondo, che, dalla fine degli anni '50 arriva agli anni '70, e che vide l'affermarsi ed il consolidarsi della formula politica del centro sinistra; per il terzo, che si può far iniziare con l'approvazione dei regolamenti parlamentari del 1971, e che portò ad un momento di assoluta "centralità" del Parlamento, e, infine, per il quarto che decorre dagli anni '80 fino al cosiddetto "passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica" nei primi anni '90.

Ed è proprio con questo nuovo inizio che, a mio avviso, si sono manifestati i primi segnali di una fase critica nel rapporto fra le istituzioni rappresentative e i cittadini elettori; fase critica che ancora perdura e che rischia di aggravarsi e di compromettere la stessa articolazione del nostro sistema.

I poteri normativi dell'Unione europea, le accresciute competenze legislative delle regioni, la tendenza alla delegificazione, l'attribuzione di importanti poteri di regolamentazione alle autorità indipendenti, anche se concretamente hanno intaccato il potere legislativo del Parlamento, non possono tuttavia essere considerati, di per se stessi, elementi di crisi, perché sono aspetti propri della dinamica evolutiva di tutti i Paesi democratici.

La fase critica in cui versano le nostre istituzioni parlamentari ha infatti radici più profonde e riguarda semmai l'evolversi delle modalità e dell'istituto medesimo della "rappresentanza" nelle società moderne e globalizzate.

Ciò ha fatto sì che mai si sia assottigliato, come oggi, il legame tra rappresentanti e rappresentati; al punto che la teoria più innovativa certifica ormai l'obsolescenza del concetto della rappresentanza proponendo in qualche caso addirittura di espungerla dal lessico politico in vigore.

La delegittimazione degli istituiti tradizionali della democrazia è stata, da più parti, individuata nella progressiva trasformazione dei partiti italiani da strutture fortemente identitarie ed organizzate a presidio del territorio in una sorta di "comitati di mobilitazione politica" che si attivano soprattutto in vista delle competizioni elettorali.

Lo spazio politico-istituzionale, in origine riservato al Parlamento, è venuto così, via via, regredendo rispetto alle relazioni negoziali fra pubbliche amministrazioni, apparati tecnocratici o gruppi di pressione; e ciò è accaduto molto spesso senza che si sia stati capaci di giungere ad una adeguata sintesi degli interessi della collettività.

Con l'affermazione del bipolarismo e del sistema maggioritario, se, da un lato, le Camere hanno perso la cosiddetta "funzione elettiva dell'esecutivo", visto che il risultato elettorale esprime direttamente la coalizione di governo, dall'altro, si è rafforzata, almeno in teoria, la diretta controllabilità, da parte del corpo elettorale, dell'attività di governo, la cui azione può essere in ogni momento confrontata con il programma precedentemente sottoposto agli elettori.

Che fare, dunque, per rilanciare il ruolo primario del Parlamento in un'epoca in cui la bipolarizzazione della competizione politica assegna al potere esecutivo e, quindi, alla coalizione di governo il diritto-dovere di portare a compimento il programma presentato al corpo elettorale?
Il tema non può ovviamente essere analizzato in breve tempo. Ma ciò che mi preme affermare è che la giusta esigenza di dare stabilità al governo non può e non deve comportare l'abbandono del modello di democrazia parlamentare.

Il problema di fondo è semmai opposto, cioè di aumentare la funzione deliberativa, e non solo di indirizzo e controllo, del Parlamento; perché è questa la funzione che permette alle Camere di reggere il confronto con gli altri centri di potere, non solo transnazionali.

Aumentarne la forza deliberativa non significa semplicemente recuperare le competenze e le funzioni che l'evoluzione dell'ordinamento ha in parte sottratto al Parlamento; significa determinare un accrescimento delle caratteristiche di democraticità dell'ordinamento stesso.

In altri termini, dobbiamo realizzare una vera e propria "democrazia governante", in grado di individuare, per ciascuna procedura di decisione politica, un punto di equilibrio condiviso fra il suo grado di rappresentatività e quello di efficienza.

Si tratta, com'è noto, di una questione solo apparentemente tecnica che ha condotto ad una soluzione in chiave decisionista del complesso rapporto fra rappresentatività ed efficienza, con l'attribuzione al Governo di una significativa influenza nelle procedure parlamentari, riducendo di conseguenza gli spazi dell'iniziativa parlamentare.

E' notorio, tuttavia, che spesso le difficoltà di attuazione in Parlamento dell'indirizzo politico governativo non dipendono tanto dalle vigenti norme costituzionali, quanto dall'omogeneità e dalla compattezza, all'interno delle assemblee elettive, delle forze politiche che compongono il Governo.

Il rilancio del ruolo centrale del Parlamento dipende quindi non solo dall'evoluzione del sistema partitico, ma anche da precise riforme istituzionali e regolamentari. Penso, in particolare, alla necessità non più eludibile di superare le aporie del bicameralismo perfetto, di concentrare la decisione legislativa sui grandi temi della politica nazionale, di ripensare la sessione di bilancio e di attivare, in modo efficace, gli strumenti e le procedure di esercizio della funzione di controllo parlamentare.

In altre parole, il Parlamento ha sicuramente bisogno di strumenti giuridici idonei, ma se questi non sono supportati da una forte rappresentatività del corpo elettorale espressa dalle Camere, non potrà mai garantire la massima efficacia della sua azione.

E per l'insieme di tutti questi fattori che, nelle moderne democrazie, il ruolo dei parlamenti non è mai marginale, ma sempre coessenziale ad un equilibrato assetto di poteri.

La qualità della decisione è, infatti, strettamente connessa all'efficienza e alla qualità della rappresentanza. Non è possibile, quindi, affrontare e risolvere il problema della governabilità senza prima affrontare e risolvere il problema della crisi della rappresentanza, del ruolo e dei poteri delle istituzioni rappresentative, degli strumenti di partecipazione democratica, della stessa legge elettorale.

Non a caso, il tema è stato di recente oggetto di sofisticate teorie accademiche che hanno delineato, quale prospettiva futura per i Parlamenti, quella di configurarsi sempre più come "luoghi di meta-sovranità" e di "accountability democratica", nei quali attivare, anche attraverso le nuove tecnologie dell'informazione, nuove sedi di pubblica discussione con altre istituzioni, formazioni sociali, gruppi d'interesse e cittadini.

D'altronde, alcuni interventi per rafforzare il legame fondamentale del Parlamento con il corpo elettorale sono già stati avviati nella politica nazionale. Significative innovazioni sono state, ad esempio, introdotte in merito alla trasparenza e all'accessibilità da parte dei cittadini all'informazione parlamentare, veicolata attraverso molteplici fonti fra cui i siti internet delle Camere.

Che questa sia una strada da percorrere è testimoniato dal fatto che, anche nella dimensione sovranazionale, il Parlamento sta recuperando il suo ruolo di sede primaria della rappresentanza, luogo dove convergono le pulsioni, le tendenze, le aspirazioni della comunità nazionale.

L'entrata in vigore del Trattato di Lisbona segnerà, al riguardo, un ulteriore positivo passaggio destinato ad incidere profondamente nella organizzazione e nella qualità delle istituzioni europee e del loro rapporto con quelle nazionali.

La forza delle istituzioni, tuttavia, non dipende solo dalla rapidità delle decisioni: poter decidere rapidamente è oggi una necessità ineludibile, ma occorre anche prendere le decisioni giuste e, soprattutto, essere nelle condizioni di poterle attuare.

E le istituzioni democratiche sono forti se sono capaci non solo di decidere, ma di farlo con il consenso e la partecipazione dei cittadini. Sono forti se sono legittimate, autorevoli e riconosciute; se danno a tutti la sicurezza dell'intangibilità dei propri diritti e delle proprie libertà; se garantiscono adeguati controlli sull'esercizio del potere; se assicurano un equilibrato pluralismo istituzionale. In poche parole: se confermano il ruolo centrale, seppur nuovo, del Parlamento.