Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

30/10/2009

Torino, Palazzo Madama - Presentazione del Rapporto sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione Europea

Autorità, Signore e Signori!
Sono molto lieto di partecipare alla presentazione del Rapporto 2009 sulla legislazione tra Stato, Regioni ed Unione europea e ringrazio il Consiglio regionale del Piemonte e il Presidente Gariglio per aver ospitato questo evento, promosso dal Comitato paritetico del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, e dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome.

La presentazione del Rapporto sulla legislazione offre ogni anno un'occasione di confronto a tutto campo, basato su seri studi che forniscono uno sguardo d'insieme sulle tendenze di più ampia portata che riguardano le nostre istituzioni.

Di questo orizzonte vasto vi è oggi grande bisogno se si vuole uscire dalle questioni di dettaglio e dalle prospettive settoriali di cui spesso siamo prigionieri.

Soprattutto ne hanno bisogno le Assemblee rappresentative che devono saper guardare coraggiosamente al loro futuro in questa intensa fase di ridefinizione dei principali livelli di governance.

E' noto che, a partire dal 2001, il nostro Paese è stato impegnato in una difficile e, a volte, tormentata attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione.

Le necessità di funzionamento delle politiche pubbliche e la stessa giurisprudenza costituzionale hanno rapidamente messo da parte la praticabilità di un criterio rigido di separazione delle competenze. Ammesso che fosse possibile, un criterio del genere avrebbe trasformato lo Stato e le autonomie in una sorta di "separati in casa", con dannose conseguenze per tutti i cittadini.

Il recente passato ha, invece, insegnato a valorizzare le numerose clausole che promuovono, secondo la logica della sussidiarietà mutuata dall'Unione europea, una distribuzione concordata e flessibile delle competenze attribuite ai diversi soggetti istituzionali.

Il principio dominante, affermato da numerose sentenze delle Corte costituzionale, è quello della "leale collaborazione", diventato, in molte importanti circostanze, il dato più saliente dell'intero ordinamento costituzionale.

Nella pratica, la distribuzione delle materie ad "incastro" fra lo Stato e le autonomie territoriali fa emergere l'esigenza di attuare una politica nazionale cui tutti concorrano, senza per questo cadere in una sorta di "relativismo" istituzionale.

E', infatti, sempre più necessario seguire la logica costituzionalmente obbligata dell'Unità della Repubblica, principio che, insieme agli altri principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale, è ovviamente ineludibile.

Del resto, l'articolo 114 della Costituzione, nel riconoscere i comuni, le province, le città metropolitane, le Regioni e lo Stato come enti costitutivi della Repubblica, conferma l'Unità del Paese come un valore che si riferisce in egual misura a tutte le componenti del Paese, ciascuna delle quali è chiamata a concorrere alla Repubblica unitaria.

Questi anni di prima attuazione del Titolo V hanno quindi messo in evidenza come le nuove disposizioni costituzionali siano ricche di riferimenti alla necessità di preservare, in forme ancora più efficaci ed esplicite che in passato, i valori dell'unità nazionale. Valori che non vanno declinati in senso puramente simbolico, ma concretamente attuati in politiche capaci di offrire a tutti i nostri connazionali pari opportunità di fruizione di quei diritti civili e sociali garantiti dalla prima parte della Costituzione.

Alla base della richiesta di più ampie autonomie da parte dei cittadini non vi è, infatti, un nostalgico guardare indietro alle "piccole patrie" preunitarie, bensì l'insoddisfazione per il cattivo funzionamento del modello di Stato centralista.
Vi è l'attesa che una moderna Repubblica delle autonomie possa fornire, a costi più contenuti, servizi migliori in favore dell'intera comunità nazionale.

L'unità della Nazione non va concepita dunque come un valore da attuarsi solo in senso discendente, cioè con lo Stato garante in ultima istanza di alcuni valori collettivi fondamentali, quali la tutela dell'unità giuridica ed economica e la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali.

Vi è una altrettanto importante costruzione in senso ascendente dell'unità nazionale, e avviene per opera degli enti territoriali chiamati a concorrere, per la quota di loro competenza, alla realizzazione di politiche nazionali.

Alla luce di queste considerazioni, risulta assai suggestiva la tesi sostenuta nel Rapporto sullo stato della legislazione per il 2009 sul carattere nazionale delle nuove politiche che si stanno intessendo nel continuum dei rapporti tra i livelli territoriali.

La sessione di lavoro che di qui a poco si aprirà è diretta appunto ad approfondire questo tema con particolare riferimento al contributo che a questa impresa può essere offerta dalle Assemblee elettive.

Le assemblee rappresentative ai diversi livelli, dal Parlamento nazionale ai consigli delle regioni e degli enti locali, sono rimaste, sino ad oggi, relativamente in ombra nella costruzione dei processi di governance della nuova Repubblica delle autonomie. In questi processi, hanno nettamente prevalso i rapporti fra gli esecutivi e le sedi negoziali finalizzate ad attuare il riparto di competenze e risorse fra centro ed autonomie.

In attesa di un superamento del cosiddetto "bicameralismo perfetto", che non è più ulteriormente differibile, il ruolo maggiore è stato fin qui svolto dalla Conferenza Unificata Stato-autonomie, nell'ambito della quale quest'ultime si sono confrontate con il Governo nazionale esprimendo, nella maggior parte, dei casi posizioni unitarie. Una preziosa funzione di sintesi è stata svolta da libere associazioni come l'Anci, l'UPI, la Conferenza dei Presidenti delle Regioni il cui contributo è andato ben oltre la mera difesa delle legittime posizioni espresse dagli enti di riferimento, e ha assunto un ruolo di proposta e di impulso per la soluzione delle non semplici questioni riguardanti il governo del nuovo sistema.

Tuttavia, il negoziato fra esecutivi e fra le rappresentanze di categoria territoriale non può essere più essere considerato sufficiente. La nuova sfida del federalismo fiscale non richiede solo una piena lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e il concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale. Richiede anche il recupero di una capacità di coordinamento complessivo che, in questi anni, si è andata indebolendo a vantaggio delle esigenze di governo dei singoli settori.

Le assemblee elettive hanno in questo senso un ruolo fondamentale da svolgere.

Le assemblee sono il luogo del pluralismo e del confronto fra maggioranza e opposizione, ma sono, al contempo, anche la sede della necessaria sintesi, della visione d'insieme degli interessi di ciascuna comunità e del massimo coordinamento interistituzionale.

Ed è per questo che, a mio avviso, dobbiamo maggiormente realizzare è una vera e propria "democrazia governante", in grado di individuare, per ciascuna procedura di decisione politica, un punto di equilibrio condiviso fra il suo grado di rappresentatività e quello di efficienza.

Equilibrio che è stato fin qui sacrificato per attribuire al Governo una significativa influenza nelle procedure parlamentari, con la conseguente riduzione degli spazi di autonoma iniziativa parlamentare.

In realtà, dobbiamo sempre tener presente che come le assemblee hanno bisogno del rapporto con gli esecutivi per non disperdersi negli interessi particolari, anche gli esecutivi hanno bisogno delle Assemblee per rafforzare la dimensione politica della loro funzione rispetto alla forza delle burocrazie e degli interessi di parte.

Come ho già ricordato in altre occasioni, le istituzioni democratiche sono forti se sono capaci non solo di decidere, ma di farlo con il maggior consenso e la più ampia partecipazione possibile dei cittadini. E sono forti se sono legittimate e autorevoli perché capaci di dare a tutti i cittadini la sicurezza dell'intangibilità dei diritti e delle libertà. Sono forti, legittimate e autorevoli se garantiscono adeguati controlli sull'esercizio del potere; se assicurano un equilibrato pluralismo istituzionale.

Per questo, mi preme ribadire che, proprio perché gli elettori si sono ormai abituati al sistema maggioritario e, quindi, a scegliere la coalizione di governo, la giusta esigenza di dare stabilità all'esecutivo non può e non deve comportare l'abbandono del modello di democrazia parlamentare.

Sotto questo punto di vista, anche l'attuazione del federalismo fiscale offre una preziosa possibilità per realizzare nuovi modelli di indirizzo e di controllo da parte delle assemblee rappresentative.

La normativa quadro approvata dal Parlamento attribuisce, infatti, al Governo una delega estremamente ampia, ma agganciata a rigorosi principi e criteri direttivi. Inoltre, gli schemi dei relativi decreti attuativi dovranno essere adottati previa intesa con la Conferenza unificata e acquisito il parere di una speciale Commissione bicamerale, oltre che delle competenti commissioni dei due rami del Parlamento.

Il Governo dovrà dare conto alle Camere delle ragioni degli eventuali scostamenti rispetto agli orientamenti espressi in sede parlamentare. La Commissione bicamerale, anche nella fase negoziale di formazione dei decreti, potrà svolgere la sua attività di approfondimento conoscitivo e trasmettere le proprie osservazioni e proposte.

E' inoltre notorio che l'attuazione del federalismo fiscale si intreccia con la riforma della disciplina di contabilità pubblica, attualmente all'esame delle Camere. Anche questa riforma ci offre un'importante opportunità per costruire una dinamica diversa e positiva fra esecutivo ed assemblee parlamentari.

Speriamo tutti di esserci lasciati definitivamente alle spalle le vecchie leggi finanziarie "omnibus" formate da migliaia di commi che poi venivano spesso approvati con un unico voto di fiducia, quindi senza un attento vaglio parlamentare.

La presentazione di una finanziaria leggera e ridotta all'essenziale, come del resto il Governo ha cominciato a fare, è un importante positivo passo in questa direzione.

La "finanziaria pesante" è stata, tuttavia, sostituita da una sorta di "finanziaria continua", attraverso il succedersi, nel corso dell'intero arco dell'anno, di provvedimenti di carattere finanziario spesso fra loro intersecati. Rispetto a questi sviluppi, forse necessitati dal convulso evolversi, anche su scala internazionale, dei rapporti economico-finanziari, attendiamo la riforma perché la politica economica, per la sua valenza generale, deve trovare, nelle assemblee elettive, sedi di confronto e decisione.

Oltre la sessione di bilancio, che non può essere svuotata di significato politico, Governo e Parlamento devono quindi condividere sedi e procedure, attraverso le quali fare periodicamente il punto, dando luogo ad un confronto, pubblico ed aperto, sul complesso delle grandi scelte in corso e sulla verifica dei risultati di quelle già effettuate.

Solo in questo modo il principio di responsabilità politica, che è alla base del sistema parlamentare, può tornare ad avere pieno effetto. Soltanto in questo modo le singole decisioni che vengono assunte nei diversi comparti, adeguatamente motivate nei presupposti e nelle finalità, potranno essere ricondotte ad una coerenza complessiva, superando la tendenza alla frammentarietà che troppo spesso pregiudica l'efficacia dell'azione politica nel nostro Paese determinando una dispersione di risorse tanto più intollerabile nell'attuale condizione di crisi.

E' un impegnativo auspicio che mi auguro possa trovare ampie convergenze tra le forze politiche.