Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

INIZIO CONTENUTO

Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

16/11/2009

Prato: 720° anniversario dell'inaugurazione del Salone del Consiglio comunale di Prato

Ringrazio vivamente il Presidente del Consiglio comunale di Prato, l'amico Maurizio Bettazzi, che mi ha invitato a partecipare a questo anniversario in ricordo delle importanti tradizioni civiche della vostra antica comunità.
Lo ringrazio e lo saluto unitamente al Sindaco, Roberto Cenni, alle autorità, ai consiglieri comunali, alle cittadine e ai cittadini presenti.
E' sempre un'occasione di alto significato civile quando una città riscopre e rievoca la propria storia. Sono momenti che ci riportano alla cultura dei territori italiani e al grande patrimonio di valori politici legati alle realtà locali.
La passione politica ha attraversato le varie fasi della nostra tormentata vicenda nazionale e ha trovato spesso proprio nella Aule Consiliari grandi momenti di confronto e di crescita civile.
Questa storia, come ha ricordato Bettazzi, ha purtroppo conosciuto anche fasi di divisione e di conflitto, soprattutto nella lunga e aspra stagione dell'ideologia, stagione nel corso della quale sono state erette barriere tra cittadini di diverso orientamento politico, che hanno ostacolato l'affermazione della cultura del reciproco rispetto, del dialogo e del sereno confronto tra idee e opinioni.
Sono grato al Presidente del Consiglio comunale per avere sottolineato il fatto che da tempo si è affermata nel nostro Paese, in virtù del crollo dei muri ideologici, una nuova e più aperta mentalità, che non vede più l'avversario come nemico e che punta all'affermazione di valori comuni e condivisi.
Voglio in proposito ricordare che, in una moderna democrazia bipolare, ciò che unisce è altrettanto importante di ciò che divide. E se da un lato è giusto e doveroso confrontarsi sulla base di diverse, anche antitetiche proposte politiche, non è meno giusto, dall'altro, convergere verso una volontà comune sulle questioni strategiche riguardanti la vita dell'intera nazione, l'interesse generale del nostro popolo. E questo non vuol dire cancellare la storia.
Oggi, le Istituzioni politiche devono indicare con autorevolezza nuove e grandi mete collettive: l'Italia di oggi ha innanzi tutto bisogno di più libertà concrete per i suoi cittadini e di più opportunità effettive. Più libertà e meno burocrazia per i cittadini e per le imprese. Più opportunità di crescita per tutti. E per le nuove generazioni in particolare.
Più libertà e più opportunità sono necessarie soprattutto per restituire dinamismo al sistema Italia. Servono a vincere lo scetticismo, la rassegnazione e l'immobilismo, l'egoismo individuale e sociale.
Un motivo di sfiducia e di smarrimento per tanti cittadini può venire dalla mancata realizzazione delle riforme istituzionali, a lungo auspicate ma mai fin qui realizzate in un disegno completo, organico. Ritengo che debba affermarsi la consapevolezza, presso tutte le forze politiche di ogni schieramento, che occorra riscrivere le regole nella prospettiva che esse riguardano tutti e che a tutti devono appartenere le Istituzioni della Repubblica. Sarebbe certamente un momento difficile per il nostro Paese quello in cui dovesse affermarsi il principio che, in una democrazia dell'alternanza, ogni maggioranza modifica a proprio piacimento quelle che sono le regole del vivere civile.
Nuove regole sono certo necessarie per rendere più efficienti le Istituzioni e per rispondere a quella domanda di tempestività della decisione che viene dalla società moderna. Ma riforme istituzionali significa anche rinnovamento del patto di cittadinanza tra gli italiani, per restituire quella coesione sociale e politica che i processi storici degli ultimi decenni hanno in vario modo messo in crisi, o nella migliore delle ipotesi, incrinato. Riforme per ritrovare quello spirito di fiducia nel destino comune che l'Italia ha conosciuto in altri momenti, come negli anni della ricostruzione e nella fase della Costituente.

Accanto alle riforme istituzionali, è urgente varare quelle riforme strutturali necessarie per restituire efficienza al sistema economico e produttivo. A rendere ancora più pressante l'obiettivo di rimuovere le pastoie che ostacolano il cammino dell'Italia è la necessità di permettere al nostro Paese di sfruttare le opportunità di crescita che verranno dalla ripresa economica internazionale. Molti hanno rilevato, nei mesi passati, che il periodo di crisi presente nella società occidentale doveva servire all'Italia per superare i propri ritardi e per rendersi più competitiva.
Sono d'accordo. Ma dalle parole bisogna passare ai fatti. In un paese come il nostro, tanto ricco di potenzialità, vi sono ancora tanti, troppi ritardi che imbrigliano la ripresa: dal mancato ammodernamento infrastrutturale all'alto costo dell'energia, dalle scarse risorse destinate alla ricerca scientifica al livello della formazione universitaria, dalla carenza di opportunità offerte ai giovani all'esistenza di troppi lacci burocratici. A quest'ultimo riguardo, voglio ricordare che spesso un freno alla libera espressione dell'imprenditoria è l'esistenza di una normativa estremamente complessa, che interviene su un'infinità di questioni minute e che ostacola ogni iniziativa. Sono questioni che devono essere affrontate congiuntamente da tutti gli schieramenti.

Parlo a una comunità, come quella di Prato, che sta soffrendo più di altre la crisi economica degli ultimi anni, con le difficoltà, i disagi e le gravi preoccupazioni per il futuro che vivono quotidianamente tanti lavoratori, tante famiglie e tanti imprenditori.
E' certamente dovere delle Istituzioni permettere alla realtà sociale e produttiva pratese di superare questo momento difficile e di rilanciare il proprio modello di sviluppo. La via è certamente quella della pronta, piena ed efficiente attivazione del sistema degli ammortizzatori sociali e di specifici interventi a sostegno dell'economia locale. Ma è anche e soprattutto quella, più generale, di politiche più incisive a difesa dell'industria manifatturiera italiana.
Ciò non significa auspicare il ritorno di anacronistici protezionismi contrari all'evoluzione economica mondiale.
Significa, più semplicemente, far rispettare le regole. Perché - e qui è bene essere chiari - libero mercato e libera circolazione delle merci non significano - né debbono mai significare - anarchia, ma adesione alle norme che tutelano i produttori e i consumatori nel quadro di in un sistema di leale concorrenza.
Libero mercato non significa dumping. Non significa contraffazione. Non significa sfruttamento selvaggio del lavoro.
E' mio auspicio che le Istituzioni italiane sappiano far valere in sede europea e presso le organizzazioni economiche internazionali le ragioni dell'industria nazionale e la necessità di difendere i marchi italiani dalle aggressioni dei furbi e dei disonesti.
Perché, amici di Prato, questi marchi - e voi lo sapete bene visto che la sapienza artigiana e le virtù imprenditoriali fanno parte del vostro Dna storico -, questi marchi, dicevo, non sono il frutto di un privilegio. Sono l'eredità che viene dal lavoro, dal sacrificio, dalla passione, dalla fantasia di generazioni di gente laboriosa, creativa e, soprattutto, onesta.
Ritengo che un primo importante passo possa essere costituito dalla Legge 99, approvata l'estate scorsa, che prevede, tra le altre, misure dirette a favorire l'internazionalizzazione delle imprese, e anche misure più dure sul fronte della lotta alla contraffazione e sull'obbligo della rintracciabilità del prodotto.

Un altro importante fronte di intervento è costituito dalla lotta alla sfruttamento del lavoro nero. E' un tema strettamente connesso all'integrazione dei lavoratori stranieri nel tessuto economico del nostro Paese, visto che molte persone provenienti da altre Nazioni sono costrette a lavorare senza garanzie e al di fuori di ogni legge.
Come sapete, si tratta di un tema su cui più volte sono intervenuto. Vorrei qui cogliere l'occasione per ribadire che non può esservi integrazione senza legalità. Ci si integra solo se si rispetta la legalità. Aggiungo anzi che l'affermazione della cultura della legalità appartiene all'essenza stessa dei processi di integrazione.
Ciò significa che, se è doveroso da parte dell'Italia rispettare la cultura d'origine degli uomini e delle donne che decidono di partecipare con il lavoro alla crescita della nostra società - così come hanno partecipato, con il loro sacrificio, alla crescita di tante società estere gli emigranti italiani delle generazioni passate -, è altrettanto doveroso chiedere a questi uomini e queste donne di rispettare le nostre leggi, di parlare la nostra lingua, di far frequentare ai loro figli le nostre scuole, far proprio quel valore della dignità della persona che è parte integrante della nostra società e della nostra civiltà.

Ai diritti devono sempre corrispondere i doveri.
Ciò significa anche che non può essere ammessa nel nostro Paese l'esistenza di enclaves dove non si rispettino le leggi, non si tuteli il lavoro, non si difendano i diritti delle persone.
Questa non è integrazione. Questa è frammentazione e distruzione del legame sociale.

L'Italia è di tutti coloro che vi abitano. Ma è soprattutto di chi la ama, di chi vuole rispettare le sue regole, di chi intende contribuire al suo progresso.
Sono certo che la comunità di Prato riuscirà a ritrovare presto la strada per il suo sviluppo e una maggiore prosperità.
A questo cammino di crescita, le Istituzioni della Repubblica non faranno mai mancare il loro sostegno, la loro vicinanza, la loro attiva partecipazione.