Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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INIZIO CONTENUTO

Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

03/12/2009

Rimini - Inaugurazione del "Primo Salone della Giustizia"

Autorità, Signore e Signori!

Sono particolarmente lieto di partecipare alla cerimonia d'inaugurazione del "Primo Salone della Giustizia" che rappresenta un'importante ed inedita iniziativa istituzionale volta a favorire un ampio ed utile confronto su temi oggi più che mai fortemente sentiti dall'intera opinione pubblica.

Un ringraziamento particolare va al senatore Filippo Berselli, Presidente della Commissione Giustizia del Senato e promotore di queste giornate di approfondimento che, ne sono sicuro, consentiranno alla politica, alla magistratura, all'avvocatura, alle forze dell'ordine, agli ordini professionali, agli imprenditori, al mondo dell'università e dell'informazione, nonché, mi auguro, a tutti i cittadini che vorranno visitare i padiglioni della Fiera e partecipare agli incontri programmati, di poter discutere pubblicamente e liberamente di idee e di progetti funzionali ad una riforma della giustizia ispirata a criteri di maggiore equità ed efficienza.

La giustizia, lo scriveva già Cesare Beccaria nel 1764, "è un'istituzione e un'amministrazione fondamentale per soddisfare le esigenze dei cittadini e per garantire l'efficienza di uno Stato fondato sull'imperio della legge".

In Italia, non c'è dubbio che il Titolo IV della Costituzione abbia profondamente innovato rispetto al passato, in tema di ordinamento giudiziario e di norme sulla giurisdizione.

La magistratura italiana, che nel vecchio ordinamento apparteneva sicuramente al paradigma delle magistrature burocratiche tipiche dei paesi dell'Europa continentale di stampo napoleonico, ha assunto con la vigente Costituzione quei connotati di indipendenza dal potere esecutivo che continuano a rappresentare la vera garanzia per la tenuta dell'ordinamento democratico.

Il ruolo della nostra magistratura, e non solo di quella ordinaria, è cresciuto progressivamente nel tempo anche per i profondi cambiamenti della società contemporanea: la nascita del cosiddetto "Welfare State", l'affermazione del diritto comunitario e della giurisprudenza della Corte di giustizia europea, i principi del mutuo riconoscimento hanno aumentato gli spazi riservati ai nuovi diritti e le domande di tutela a garanzia dei medesimi.

All'ampliamento del campo delle tutele giurisdizionali, non è, tuttavia, corrisposto nel nostro Paese lo sviluppo parallelo di un efficiente sistema giudiziario basato su un apparato organizzativo adeguato ai bisogni da soddisfare.

L'efficacia del controllo di legalità e della funzione giurisdizionale, in ultima istanza la garanzia di giustizia per i cittadini, risentono pesantemente di inadeguatezze di norme e di strutture cui da troppo tempo governi e Parlamento, nel succedersi delle legislature, non hanno posto rimedio in modo ordinato e coerente, a partire dallo stanziamento di adeguate risorse finanziarie.

Il dato di partenza deve essere, allora, chiaro a tutti o da tutti condiviso: il vero e proprio "leit motiv" di ogni "discorso" sulla giustizia deve essere oggi rappresentato dal deficit di efficienza, che si estrinseca in una incapacità, ritenuta "strutturale" del sistema, ad assicurare processi, soprattutto in campo civile, in grado di conseguire risultati "utili" in tempi ragionevoli.

Recuperare efficienza, credibilità e fiducia nel sistema giudiziario italiano è una questione vitale per la democrazia, un vero e proprio imperativo categorico per tutte le istituzioni.

Lo chiedono innanzi tutto i cittadini che, da utenti, subiscono in prima persona l'intollerabile lentezza dei processi che finiscono per coinvolgere negativamente anche le possibilità di sviluppo economico del nostro Paese come impietosamente evidenziano alcune prestigiose istituzioni internazionali.

Ma lo chiede anche la stragrande maggioranza di magistrati che, avendo grande passione per questa missione, si alza ogni mattina e va a svolgerlo con zelo, onestà e devozione alle istituzioni repubblicane, così come lo chiedono le decine di migliaia di dipendenti dell'amministrazione giudiziaria e delle forze dell'ordine che credono fermamente nel "sistema-giustizia".

Che fare, dunque, per risolvere con equilibrio istituzionale questi apparentemente inestricabili nodi gordiani?

Non si può non partire da una doverosa premessa di ordine metodologico: la "Giustizia" va concepita non come "potere", ma come "servizio" nel senso più elevato dell'espressione, al quale si chiede, in primo luogo, di garantire l'effettività dei diritti e degli interessi dei cittadini.

Un servizio i cui costi e i cui problemi sono da prendere in considerazione al fine di accrescere il benessere dei cittadini e, come in ogni servizio che si rispetti, vi è bisogno di un momento in cui si "dia conto" agli utenti del suo andamento, delle carenze che si riscontrano, dei problemi in atto e delle possibili soluzioni da adottare per rispettare i princìpi costituzionali del diritto di difesa e del "giusto processo" introdotto dal rinnovato articolo 111 della Costituzione.

Il Capo dello Stato, nel Suo discorso del 17 dicembre 2008 alle Alte Magistrature della Repubblica ed in quello del 9 giugno 2009 di fronte al Consiglio Superiore della Magistratura, ha autorevolmente affermato che si tratta di un "servizio da rendere ai diritti e alla sicurezza dei cittadini".

E' questa, infatti, la doverosa riflessione da cui partire per riformare il settore della giustizia, se non si vuole correre il rischio di sostenere misure correttive svincolate da una logica d'insieme che punti necessariamente a garantire la piena affidabilità ed organicità dell'ordinamento.

In questa logica, come allora non ricordare che il servizio "Giustizia" debba essere valutato e apprezzato anche, e soprattutto, in base a canoni di efficacia e produttività misurabili attraverso la tempestività e l'effettività della qualità delle risposte alle istanze dei cittadini stessi?

A questo riguardo, ad esempio, si sono dimostrate estremamente utili e vantaggiose le iniziative legislative assunte non molto tempo fa nel settore della digitalizzazione della Giustizia ed in quello della semplificazione delle norme di rito nei processi civile, penale ed amministrativo.

È evidente, pertanto, che le prossime riforme da fare, oltre a dover scaturire da un ampio confronto parlamentare tra le forze politiche e tutti gli operatori del settore, dovranno anche derivare da lucide e ponderate valutazioni delle patologie strutturali del sistema giudiziario.
E' auspicabile, quindi, ad esempio, con riguardo al processo civile, che, oltre alla semplificazione delle varie fasi del processo, compresa quella istruttoria, si giunga ad un'autentica riforma che potenzi anche gli istituti di risoluzione alternativa delle controversie in materia di diritti disponibili, così come avviene in tutti gli altri paesi più avanzati.

Allo stesso modo, con riferimento al settore penale, è auspicabile che la doverosa attuazione del principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, posto a garanzia dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, non sia, come purtroppo avviene adesso, praticamente affidata alla discrezionalità dei pubblici ministeri nella scelta quotidiana della miriade di reati da perseguire, bensì si concentri sulle fattispecie delittuose che destano maggiore allarme sociale e che è utile prevenire e contrastare, trasformando, nel contempo, un'ampia serie di fattispecie minori in illeciti amministrativi.

Da qui, l'esigenza di procedere ad un'attenta opera di individuazione dei reati che è necessario depenalizzare.

Da tempo, infine, appaiono ineludibili le problematiche che attengono all'organizzazione e al funzionamento del CSM, in quanto organo dell'autogoverno della magistratura medesima.

Le riforme dovranno ovviamente riguardare anche il sistema di progressione in carriera dei magistrati, nell'ottica di ridurre gli automatismi legati alla mera anzianità e di favorire la meritocrazia. Quanto, invece, alla ricorrente questione della separazione delle carriere, giudicanti e requirenti, in funzione della "terzietà" del giudice, è, a mio avviso, evidente che le modifiche non potranno avvenire a discapito dell'autonomia e dell'indipendenza del pubblico ministero, il quale deve rimanere incardinato nell'ambito del potere giudiziario
Queste, in estrema sintesi, potrebbero essere le linee-guida di una riforma che, mi auguro, si possa realizzare in tempi rapidi, ma anche dopo approfondito ed ampio dibattito parlamentare, perché solo così la politica potrà dimostrare di saper contrastare quel germe della "sfiducia" che, ormai da troppo tempo, mina la credibilità delle stesse istituzioni giudiziarie.

Se ci riusciremo, potremo dire di aver fatto un passo in avanti in direzione di quel buon governo della "cosa pubblica", senza il quale non c'è progresso di libertà e di giustizia.

Grazie.