Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

12/01/2010

Montecitorio, Sala della Lupa - Convegno promosso dal Comitato per la Legislazione su "Il Parlamento e l'evoluzione degli strumenti della legislazione"

Illustri Colleghi che mi avete preceduto alla Presidenza della Camera dei deputati,
Signor Ministro per i Rapporti con il Parlamento,
Signori Presidenti delle Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, Signor Presidente del Comitato per la Legislazione della Camera dei deputati,
Autorità, Signore e Signori!

Già, nel 1748, Montesquieu avviava una sistematica riflessione sulla necessità di individuare alcuni principi-guida per la nascita di una moderna scienza della legislazione che fosse in grado di orientare l'opera del legislatore nell'elaborazione dei propri atti normativi.

E', infatti, nell'"Esprit des lois" del filosofo francese, così come nella successiva "Scienza della Legislazione" di Gaetano Filangieri, che si riscontrano i prodromi fondamentali di una teoria della legislazione che, preoccupata di definire le regole per una più corretta redazione dei testi normativi, si basava sulla convinzione che lo "stile" della legge, intesa come espressione della volontà generale, dovesse essere "semplice" e "conciso", in modo da evitare il diffondersi di un'attività di interpretazione ermeneutica non in linea con lo sviluppo di tendenze giuridiche chiaramente positiviste.

Come è ovvio, la nascita di un modello di legislazione basato sulla semplicità della formulazione tecnica della norma generale ed astratta, non poteva, tuttavia, esaurire le tensioni profonde di una società dominata dalla crescente esigenza di adeguare lo strumento legislativo a nuove e sempre più complesse dinamiche storico-sociali.

La ricerca di formule giuridiche più idonee alla realizzazione di una nuova scienza della legislazione ha così assunto, con il trascorrere degli anni, il connotato della più ampia diversificazione, dovendo l'evoluzione del ruolo delle assemblee parlamentari rapportarsi al continuo insorgere di fenomeni giuridici, sempre meno tradizionali, che lo sviluppo delle società contemporanee tumultuosamente elabora.

Accade così che, nell'era della globalizzazione, il numero delle leggi sia in costante aumento nella maggior parte delle democrazie parlamentari dell'Occidente; si tratta di uno dei più dirompenti fenomeni della vita sociale del nostro tempo e sulle cui cause non è facile indagare.

E' comunque certo che l'eccessiva complessità della legislazione, che non conosce limiti di frontiera, si configura come una grande questione politico-istituzionale, che caratterizza l'evoluzione di tutti i sistemi democratici, e si pone come punto critico nel rapporto tra Stato e cittadini, tra sfera pubblica e sfera privata.

Analizzare lo "spirito" delle leggi, il loro contenuto e le modalità con le quali esse si formano è quindi sicuramente un punto di osservazione particolarmente qualificato per capire l'identità di un popolo, il suo governo reale e la qualità dei suoi ordinamenti politici.

Questo insegnamento assume oggi un significato particolare di fronte alla cosiddetta "inflazione" normativa che se, da un lato, rappresenta, nel contesto delle economie più avanzate, un indubbio fenomeno da contrastare, dall'altro, riflette, invece, la tendenza degli ordinamenti giuridici e dei poteri pubblici, ad allargarsi ai più vasti settori della società.

Anche in Italia, tra le cause che maggiormente hanno concorso e concorrono a minare le stesse radici del principio della certezza del diritto, vi rientra, senza alcun dubbio l'incontrollata proliferazione di norme, per lo più di dettaglio, le quali, proprio perché finiscono, inevitabilmente, per sovrapporsi le une alle altre, determinano un alto tasso di disorganicità del sistema giuridico, sempre più caratterizzato dalla incessante rivendicazione di interventi regolativi con cui si chiede al legislatore di recuperare, a posteriori, l'unità della funzione legislativa.

La ragione di quel che è avvenuto nel nostro ordinamento è in parte tecnica ed in parte politica. Da un punto di vista tecnico, infatti, essendo il sistema delle fonti italiane (a differenza, ad esempio, di quello francese) privo di una riserva costituzionale di regolamento, si è sempre reso necessario, prima dell'entrata in vigore della legge n. 400 del 1988, il ricorso allo strumento della legge ordinaria per modificare una materia già disciplinata da un'altra legge. Da un punto di vista politico, invece, l'eccessiva produzione di leggi che hanno la sostanza dell'atto amministrativo è dovuto soprattutto al forte sospetto con cui tradizionalmente le forze di opposizione hanno guardato al potere regolamentare dell'Esecutivo.

La conseguenza di tutto ciò, come ha giustamente evidenziato un'attenta dottrina sulla scia delle intuizioni del professor Irti, è che ancora oggi, nonostante i recenti ed opportuni tentativi di attuare adeguate politiche di semplificazione, si assiste, nel nostro Paese, ad un percorso contraddittorio tra una forte tendenza alla "giurificazione", intesa come disciplina giuridica del sociale imposta dalla complessità dei fenomeni, ed una forte controspinta rappresentata da una "domanda sociale di arretramento dell'onda giurificante".

Quali rimedi, dunque, sul piano pratico?

A questo riguardo, a mio avviso, la disputa dottrinale tra "testi unici misti" e "codificazione di settore", tra "riordino" e "riassetto", è una questione riduttiva che può diventare forviante che non consente di individuare soluzioni corrette e definitive sotto il profilo metodologico.

Il problema di fondo, se è vero che non sempre la complessità normativa può condurre ad una riduzione dello stock normativo, rimane quello di darsi congiuntamente e quindi tutti insieme (Parlamento, Governo, Autonomie territoriali) regole migliori, di ricondurre il fenomeno del policentrismo normativo "a sistema" e, in particolare, ad un sistema che sia agevolmente leggibile o accessibile da parte di ogni cittadino.

È questa, probabilmente, la vera sfida verso una nuova "codificazione" cui si deve però accompagnare la costante difesa del ruolo del Parlamento, dal momento che dobbiamo preservare la centralità della legge come principale strumento di garanzia democratica dei diritti e dei doveri dei cittadini e di regolazione dei rapporti sociali.

Da questo punto di vista occorre pertanto mantenere alta l'attenzione delle istituzioni sui molteplici problemi della produzione legislativa, cercando di sostenere e di rilanciare tutte le iniziative volte a migliorare il processo legislativo e a realizzare una legislazione più semplice ed ordinata in grado di garantire la certezza del diritto.

Quando si decide su aspetti fondamentali del rapporto fra poteri pubblici e diritti dei singoli è innegabile che il ricorso alla legge rimane indispensabile: la legge altro non è che il risultato di un procedimento di deliberazione nel quale tutti gli aspetti della decisione sono pubblicamente discussi e confrontati; è un procedimento estremamente complesso nel quale tutti i principali attori - il Governo, la maggioranza, l'opposizione, i singoli parlamentari - hanno modo di esprimere la propria posizione e di concorrere alla sintesi conclusiva.

Non dobbiamo infatti dimenticare che proprio il confronto politico-parlamentare è in grado di dare piena legittimazione democratica alla decisione politica.

Solo una visione mitologica della democrazia può infatti indurre a ritenere che la funzione di governo si traduca automaticamente, una volta conclusa la competizione elettorale, in un'agenda legislativa predefinita e a senso unico in cui il potere esecutivo, soprattutto con il ricorso all'uso distorto, sotto vari profili, della decretazione d'urgenza, tende a limitare, o peggio, a soffocare il libero dibattito parlamentare sulle grandi decisioni di politica pubblica.

La legittimazione democratica a governare non è infatti solo un dato iniziale che scaturisce dalle urne, ma si rafforza giorno dopo giorno nell'affrontare e nel risolvere i problemi sempre nuovi ed inattesi che si presentano sul terreno concreto dei bisogni della collettività.

In un sistema parlamentare come il nostro, il rapporto quotidiano fra Governo e Parlamento serve appunto a far valere di fronte ai cittadini, in modo trasparente e motivato, la responsabilità per le decisioni che si prendono durante l'intero arco della legislatura.

E' solo attraverso questo confronto quotidiano che le iniziative politiche del Governo e della sua maggioranza diventano, come richiede la Costituzione, "politica nazionale", cioè quella unitaria sfera deliberativa in cui tutte le forze politiche sono chiamate a concorrere con metodo democratico.

E va messo in evidenza che questa sfera non solo non contraddice l'esistenza di un programma e di un indirizzo politico di maggioranza alternativi a quelli delle opposizioni, ma costituisce l'indispensabile presupposto perché il confronto possa svolgersi in forme democratiche e non si trasformi in mero rapporto di forza fra opposte fazioni in competizione solo per l'esercizio del potere.

In un Paese come il nostro, storicamente fin troppo incline alla divisione e alla delegittimazione dell'avversario ed in cui le istanze di coesione ed unificazione nazionale sono state cronicamente deboli, continuiamo ad avere estremo bisogno di una autentica "politica nazionale", soprattutto dopo il tramonto delle grandi ideologie del secolo scorso.

E' la ragione per cui il Parlamento deve continuare ad essere la principale sede dove attuare questo confronto: la legislazione, i suoi metodi, i suoi contenuti non possono, quindi, che essere intesi come il risultato di quella più avanzata forma di "ragionamento pubblico" cui la filosofia politica contemporanea associa la possibilità di governo democratico di società moderne inevitabilmente sempre più plurali e conflittuali.

Grazie.