Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

25/01/2010

Montecitorio, Sala della Lupa - Presentazione del libro "Magistrati" di Luciano Violante

Autorità, Signore e Signori!

Il libro "Magistrati" di Luciano Violante è l'espressione del grande processo di trasformazione politico-culturale che è in corso nel nostro Paese e di cui l'Autore è uno dei più lucidi interpreti.

Da tempo, in tutto l'Occidente si assiste alla crescita del ruolo del potere giudiziario che, essendo ormai molto lontano dall'immagine stilizzata da Montesquieu di "potere nullo" o di semplice "bocca della legge", si erge, sempre di più, com'è scritto nel "Il Federalista" di Hamilton, come il "terzo gigante" tra Potere legislativo e Potere esecutivo.

Tornare al giudice "bocca della legge" è assolutamente impossibile perché è la complessità dei sistemi giuridici contemporanei ad aver determinato l'aumento delle funzioni del potere giudiziario; ciò è avvenuto in base a due principali fattori.

Il primo attiene alle caratteristiche assunte dal diritto nelle società contemporanee. Il pluralismo, l'integrazione sovranazionale, la globalizzazione, i processi di "deterritorializzazione" dell'autorità politica hanno accresciuto enormemente gli atti qualificabili come fonti del diritto, creando un sistema giuridico articolato, policentrico, frammentato.

Ciascun atto normativo, da parte sua, diventa sempre più complesso, ambiguo, esposto a molteplici interpretazioni. Da qui la rilevante attività di interpretazione ermeneutica devoluta ai magistrati che, quando applicano il diritto al caso, in parte lo creano, attribuendogli un significato normativo tra i tanti in astratto possibili.

Questa delicata funzione, se esercitata in modo eccessivamente discrezionale, attribuisce però all'organo giudiziario un potere che, per certi aspetti, è simile a quello del Potere legislativo. "Giudici legislatori", "Governo dei giudici" e "democrazia giudiziaria" diventano, pertanto, espressioni ricorrenti nel dibattito pubblico e non solo in Italia.

Il secondo fattore è quello che riguarda le trasformazioni della politica in tutto l'Occidente.

Il tramonto delle ideologie del "secolo breve" e la crisi dei partiti di massa hanno svalutato, nel dibattito e nella lotta politica, l'aspetto programmatico e valoriale.

La spinta alla "mediatizzazione" della vita pubblica, la verticalizzazione della politica e la sua personalizzazione hanno accresciuto questa tendenza, per cui il dibattito, la critica e le scelte degli elettori sono influenzate, più che da opzioni ideologiche o programmatiche, da considerazioni sulle qualità morali dei partiti, dei leaders, degli esponenti politici.

In questo contesto, come ha scritto Alessandro Pizzorno, i magistrati rischiano di trasformarsi in una specie di "controllori di virtù" del personale politico, allontanandosi dal loro compito istituzionale che è quello di garantire, in modo imparziale, l'applicazione della legge.

I due fattori sinteticamente richiamati sono tendenze comuni a tutte le democrazie contemporanee. In Italia, però, ci sono delle circostanze ulteriori, di ordine politico, sociale e culturale (su cui indaga approfonditamente, e senza pregiudizi, Luciano Violante), la cui deriva potrebbe condurci ad un potenziale squilibrio dell'assetto costituzionale della nostra democrazia.

Penso, soprattutto, all'esasperata "giuridicizzazione" della vita sociale.

In Italia, infatti, la complessità del sistema giuridico è ancora più elevata che in altri Paesi a causa della spinta a regolamentare ogni aspetto della vita sociale ed ad estendere, di fronte all'ineffettività di molte regole, il ricorso alla sanzione penale.

Il diritto penale, da tecnica eccezionale di regolamentazione sociale, è diventato modo normale di legiferare, con ovvio sovraccarico di aspettative in ordine alle funzioni di questa branca del diritto.

In questa situazione il Pubblico ministero ed il Giudice hanno un margine di discrezionalità troppo ampio rispetto alla scelta di come qualificare giuridicamente un fatto.

Come giustamente sottolinea Violante, giudici diversi e, molte volte, lo stesso giudice dopo un breve lasso di tempo (per esempio, la stessa sezione della Cassazione o del Consiglio di Stato) forniscono interpretazioni diverse e qualificazioni giuridiche differenti dello stesso fatto. L'ampiezza della discrezionalità porta all'incertezza del diritto, che è una minaccia reale per i diritti dei cittadini.

In secondo luogo, la vicenda storica italiana ha portato all'affermazione di una certa cultura del potere giudiziario che è stata la piattaforma teorica dell'aumento del suo potere. Prima, infatti, si è affermata l'idea di attuare per via giudiziaria i valori costituzionali di eguaglianza e di promozione della persona che ha portato alla massima estensione dell'interpretazione creatrice del giudice. Poi, su questa base, dopo "Tangentopoli" e la crisi della "Prima Repubblica", si è potuta impiantare l'idea di una sorta di "protettorato" (l'espressione è di Violante) dei pubblici ministeri sulla Repubblica.

Di fronte a tutto ciò è giusto interrogarsi sull'esigenza di garantire in modo stabile un funzionale equilibrio democratico tra i poteri. Certamente, in questa costante ed essenziale ricerca va mantenuto il valore irrinunciabile dell'indipendenza della magistratura, sia giudicante che requirente, ma va anche evitato l'avvento di una "democrazia giudiziaria".

Per realizzare tutto ciò, occorre, da un lato, porre un argine alle tentazioni della politica di condizionare l'indipendenza della magistratura con norme che mirino alla sua sottoposizione politica e, dall'altro, occorre valorizzare, con riferimento ai magistrati, il principio di responsabilità, che consiste nell'adempiere ai doveri di ufficio con imparzialità e rigore deontologico.

Anche questi sono aspetti costituzionali, che, come prospetta Violante nelle sue conclusioni, potrebbero essere i valori ispiratori dell'agire della magistratura in questa fase storica.

Le conclusioni di Violante sono assai stimolanti e per molti versi condivisibili e la sfida che abbiamo di fronte investe un duplice terreno. Da una parte, vi è quello delle riforme da fare in modo equilibrato e condiviso, e, dall'altra, vi è il terreno culturale, perché la ricerca di un nuovo equilibrio democratico tra i poteri dello Stato passa, in larga misura, attraverso un profondo cambiamento che deve riguardare sia la sfera della magistratura che quella della politica.

Solo così potremo dire di aver fatto un passo in avanti in direzione di quella "normalizzazione" istituzionale di cui il Paese ha certamente un grande bisogno.