Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

INIZIO CONTENUTO

Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

29/04/2010

Bari, Castello Svevo - VIII Riunione dei Presidenti dei Parlamenti dell'Iniziativa Adriatico-Ionica

Onorevoli Presidenti, signor Vice Presidente del Senato, On. Sottosegretario Mantica, illustri autorità,
sono particolarmente lieto di aprire i lavori di questa VIII riunione dei Presidenti dei Parlamenti dei Paesi aderenti all'Iniziativa adriatico-ionica (IAI), nella ricorrenza del decennale della sua istituzione, perché questa occasione ci permette di riflettere insieme sugli obiettivi conseguiti da questa organizzazione e, in particolare, sull'apporto che, come Presidenti dei parlamenti, possiamo fornire ad una piena integrazione dell'Europa adriatica nel contesto comunitario.
Con soddisfazione riconosco alla diplomazia italiana un ruolo centrale nella creazione della IAI, nata con la volontà di agevolare i processi di transizione democratica in atto negli Stati dell'area attraverso forme di cooperazione regionale in settori di rilevanza strategica, come il contrasto al crimine organizzato, all'immigrazione clandestina, ai traffici illeciti ed al terrorismo internazionale.
La cooperazione in questi settori di grande importanza e di comune interesse si è via via estesa a nuovi settori cruciali per la crescita economica e lo sviluppo sociale della regione come l'istruzione, la collaborazione tra università, la cultura, la cooperazione fra le piccole e medie imprese, il turismo e la salvaguardia dell'ambiente.
Un ulteriore progresso è certamente rappresentato dalla creazione, nel 2008, del Segretariato permanente dell'Iniziativa, con sede in Ancona, che garantisce una continuità nell'azione delle Presidenze di turno, oltre che il necessario coordinamento logistico tra le numerose attività che fanno capo all'organizzazione.
Oggi la IAI partecipa alla realizzazione di numerosi progetti di cooperazione decentrata fra i Paesi dell'area e svolge una preziosa funzione di raccordo con le altre organizzazioni di cooperazione regionale operanti nell'Europa sud-orientale così come fa da volano per i programmi comunitari destinati alla regione.
A dieci anni dalla Conferenza per lo sviluppo e la sicurezza dell'Adriatico, possiamo quindi affermare che la IAI rappresenta certamente un successo nella storia degli organismi regionali, perché ha saputo proporre un modello efficiente e flessibile di cooperazione tra gli Stati dell'area. Collegando le ipotesi di progetto e di partenariato ai programmi comunitari, la IAI sta infatti costruendo un'architettura di strumenti finanziari ed una cornice giuridica condivisa, pienamente funzionale ai progetti di sviluppo dei Paesi delle due sponde dell'Adriatico e dello Ionio.
La peculiare vocazione geopolitica della IAI le permette di fornire un rilevante valore aggiunto ai processi di stabilizzazione dell'area e di svolgere un vero e proprio ruolo di accompagnamento nel percorso d'integrazione dei Paesi adriatico-ionici nello spazio comunitario. Percorso la cui centralità è stata recentemente riconosciuta anche dall'Alto Rappresentante per la politica estera europea, Catherine Ashton che - lo auspico vivamente - sarà riaffermata nel vertice UE-Balcani programmato a Sarajevo nel mese di giugno, a quindici anni dalla fine del conflitto che ha così duramente colpito i Paesi della regione.
In virtù della sua specificità, la IAI è oggi chiamata a compiere un ulteriore salto di qualità, qualificandosi come il "nocciolo duro" per la formazione di una strategia macroregionale europea per il bacino adriatico-ionico.
Le premesse ci sono tutte: l'Europa adriatica e ionica è infatti per molti versi già oggi una realtà vitale ed efficiente fatta di connessioni economiche, di cooperazioni decentrate, di scambi culturali sempre più fitti ed articolati, resi possibili anche da grandi network, come Uniadrion, il forum dei Comuni e delle Camere di commercio.
Il progetto della macro-regione adriatica, lanciato il 13 aprile scorso dal Sottosegretario Mantica, è ambizioso ed impegnativo: esso può costituire un'efficace risposta alla crisi di fiducia nel processo di europeizzazione che attraversa le società e le opinioni pubbliche della regione.
La cooperazione territoriale può ridare nuova credibilità e legittimazione al progetto d'integrazione comunitaria, a condizione però che non si esaurisca nella creazione di nuovi apparati burocratici, ma renda più agevole la nascita di nuove opportunità di sviluppo per un'area integrata, in cui vivono più di cento milioni di persone.
Per raggiungere un obiettivo così ambizioso l'azione diplomatica deve essere affiancata da un forte impulso politico. In questa prospettiva le nostre Assemblee parlamentari devono dare un forte contributo nel sollecitare un approccio strategico europeo comune a tutta l'area, fondato sulla omogeneità degli interessi e sulla condivisione dei problemi strutturali e delle prospettive di sviluppo, così come è già avvenuto nel recente passato per la creazione della macro-regione europea del Mar Baltico.
Di fronte a questa sfida, dobbiamo essere consapevoli che alcuni ricordidi un passato non così lontano rischiano di indurci a pericolosi errori di prospettiva.
Nella prima metà del decennio appena trascorso, ho avuto modo in qualità di Ministro degli Affari Esteri di vivere in prima persona la complessa ed affascinante vicenda dell'allargamento dell'Unione agli Stati dell'Europa centrale: quella stagione ha assunto, comprensibilmente, un forte valore simbolico nella costruzione di un ethos politico comunitario, capace di mobilitare le menti ed i cuori dei cittadini degli Stati di nuova adesione.
Ritengo che debba essere superata, da parte delle classi dirigenti europee, l'interpretazione del processo di apertura dell'Unione ad Est attraverso quel modello, forse eccessivamente semplificato, che opponeva la "vecchia" Europa, occidentale ed atlantica alla "nuova" Europa, orientale ed ex comunista.
Sono convinto del resto che non sia corretto parlare riduttivamente di Europa orientale, come del resto ci ha insegnato il grande storico mitteleuropeo François Fejtö.
È importante riaffermare una visione geopolitica inclusiva del nostro Continente, è importante farlo alla vigilia delle celebrazioni del 60° anniversario della dichiarazione di Maurice Schumann che propugna l'idea di una comunità aperta a tutti i popoli dell'Europa, dell'est come dell'ovest; senza dimenticare la più ampia prospettiva mediterranea nella quale l'area adriatico-ionica è naturalmente inserita.
Il progetto dell'Unione per il Mediterraneo, così come il suo "volet" parlamentare, l'Assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea, di cui l'Italia esercita quest'anno la Presidenza, va nella giusta direzione; ritengo sia necessario far crescere la consapevolezza nelle classi politiche europee di una nuova idea-forza che ispiri e rinnovi il nostro rapporto con i Paesi mediterranei.
Creare uno spazio euro-mediterraneo, infatti, non significa soltanto costruire una zona di libero-scambio, definire una strategia comune dei flussi migratori o degli approvvigionamenti energetici, significa costruire un'area per il dialogo tra le culture e le fedi religiose che rifiuti le chiusure ispirate all'intolleranza e a pericolose pulsioni allo scontro tra civiltà.
Non si tratta ovviamente di cedere a ottimismi che sarebbero ingenui, ma piuttosto si tratta di affrontare il processo d'integrazione con lucidità e realismo, consapevoli delle fratture storiche che pure si sono determinate nella regione, dobbiamo fare nostra la lezione di un grande filosofo della contemporaneità, Edgar Morin, secondo il quale il destino comune a cui aspiriamo non emerge soltanto dal nostro passato. Emerge dal nostro presente perché è il nostro futuro che ce lo impone.