Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

25/11/2010

Montecitorio, Sala del Mappamondo - Presentazione del Rapporto EuroMed Intercultural Trends 2010 della Fondazione Anna Lindh

Autorità, Signore, Signori!

Con grande piacere la Camera dei Deputati ospita oggi la presentazione del Rapporto EuroMed Intercultural Trends 2010 della Fondazione Anna Lindh. Il mio saluto va ad Andreu Claret, Segretario Generale della Fondazione Anna Lindh; all'On. Franco Frattini, Ministro degli Affari Esteri; all'On. Piero Fassino, Presidente Forum Esteri del Partito Democratico; all'On. Giuseppe Pisanu, Presidente Fondazione Medidea, ed al moderatore Giacomo Filibeck, che ricordo impegnato nella presidenza del consesso giovanile della Convenzione Europea per la Redazione del Trattato Costituzionale. Un biennio di lavori che, personalmente, considero come uno dei momenti di più alto e più puro slancio europeista, nel solco dei grandi Padri dell'Europa e con la stella polare di una crescente integrazione europea.

Una stella polare che vorremmo ritrovare parlando anche della culla euro mediterranea, ma che, scorrendo la prima edizione di questo rapporto sui trend interculturali, vediamo essere ancora, per molti versi, un processo in via di definizione. Dai dati del rapporto risulta come nella prima decade del XXI secolo sembri essersi accresciuto il divario che è aumentato anche in virtù del crescente impatto della crisi economica e del conflitto nelle relazioni interculturali.

Come cittadini europei siamo ben consapevoli delle difficoltà che ha incontrato il processo di integrazione ed allargamento dell'Unione Europea a ventisette. Tanto più coscienti dobbiamo essere nel comprendere cosa può comportare, sul piano sociale e culturale prima ancora che economico, un processo di avvicinamento tra quarantatre paesi così diversi per tradizioni e cultura.

A renderlo arduo vi è la scarsa conoscenza tanto dei luoghi fisici (Il 63% degli europei intervistati non ha mai visitato un Paese del sud del Mediterraneo) quanto delle persone (nel corso del 2009, il 64% degli europei ed il 76% dei cittadini della sponda sud del Mediterraneo intervistati non hanno avuto contatti con cittadini dell'altro gruppo)

Prendendo spunto da questi dati, il rapporto solleva in particolare due quesiti: 1) Il divario nelle percezioni reciproche è davvero troppo grande per essere colmato? 2) I popoli della Regione euromediterranea avvertono un beneficio significativo dalla nascita dell' Unione per il Mediterraneo?

Vediamo nel dettaglio. Recentemente è apparsa sulla European Foreign Affairs Review un'analisi molto interessante di un ricercatore italiano, Michele Comelli, che ravvisa il rischio, di vedere compromesso quanto di buono (pur con mille difetti) è stato fatto nell'ambito del processo di Barcellona per effetto delle criticità presenti nell'Unione per il Mediterraneo. Sappiamo delle difficoltà incontrate dalla "troika" presidenziale (Francia, Spagna, Egitto) nel rilanciare il processo dell'UPM. Tanto la mancata approvazione, ad aprile, della strategia riguardo al problema dell'acqua quanto il mancato vertice a livello di Capi di Stato e di Governo, che avrebbe dovuto tenersi domenica scorsa, in occasione del 15mo anniversario della Dichiarazione di Barcellona, testimoniano l'affanno di questo organismo internazionale.

Ciò determina preoccupazioni anche nel "volet" parlamentare dell'UpM: il "Bureau" dell'Assemblea Parlamentare dell'Unione per il Mediterraneo (che include i Presidenti del Parlamento Europeo, e delle Assemblee marocchina e giordana, quest'anno sotto presidenza italiana) in occasione della sua più recente riunione tenutasi proprio qui a Montecitorio due settimane fa ha espresso nel suo comunicato finale da un lato il vivo rammarico per il rinvio del Vertice dell'Unione del Mediterraneo, ma al contempo l'auspicio che una nuova data per la tenuta del Vertice venga fissata al più presto. Mi auguro che tale auspicio, espresso da un organismo che rappresenta i Parlamenti della regione, venga ascoltato con la dovuta attenzione.

Condivido inoltre l'approccio suggerito dal rapporto della fondazione Anna Lindh - che poi è quello che consente all'Assemblea Parlamentare dell'UpM la continuità dei propri lavori - di non partire solo dai progetti economico-politici ma anche dalle percezioni sociali.

Credo che varrebbe la pena ricordare quanto molti dissero subito dopo la tragedia dell'11 settembre e cioè che - a fianco di una necessaria azione di hard security per estirpare le sacche di terrorismo e di violenza - fosse necessaria una azione di soft security che si andasse a concretizzare in iniziative culturali, di reciproca conoscenza ed approfondimento. Ricordo che fra gli argomenti menzionati allora vi era quanto contenuto nell'Arab Human Development Report pubblicato dalle nazioni Unite che ricordava come in 1.200 anni solo 10.000 libri circa fossero stati tradotti in arabo, un numero pari a quello delle traduzioni in spagnolo pubblicate in Spagna in un solo anno. Occorre riprendere con forza questo secondo aspetto dello sforzo comune contro il terrorismo.

Non basta sradicare la violenza (anche se necessariocon strumenti militari), occorre sradicare la reciproca ignoranza. Se il ritardo nello sviluppo può far nascere l'intolleranza, l'abbandono può contribuire alla sua crescita ed all'esplosione della violenza.

Forse dovremmo proprio ripartire dalle iniziative in ambito culturale, nel solco delle 11 "proposte per il dialogo nell'area euro mediterranea" presentate nel rapporto e volte a promuovere il dialogo interculturale e la conoscenza reciproca.

In particolare i progetti dovranno tener conto dell'importanza di rafforzare il ruolo dei giovani e delle donne quali principali attori dell'UpM e motori delle "percezioni".

Come evidenziato dal rapporto, sono i giovani la vera forza guida per la promozione del dialogo interculturale nella regione euromediterranea. Particolare rilievo dovranno avere quei progetti che, coniugando adeguatamente le esigenze della società civile, saranno a sostegno di iniziative locali in una dimensione interculturale. A tal fine andrebbero previsti programmi di formazione e campagne informative, la facilitazione degli scambi tra studenti della scuola superiore, la promozione di un ruolo diverso dei mass media, affinché diano un'immagine diversa della sponda sud.

Ma per rendere concreta, prima nei fatti che nell'immaginario, l'idea che possa formarsi una nuova gens mediterranea, dobbiamo fare un passo in più. Un conto è considerare la reciproca percezione tra paesi della riva Sud ed Est del Mediterraneo e paesi europei quando i soggetti in causa restano ognuno nel proprio Paese. Altro conto è invece considerare le persone che provengono da quell'area ma che sono emigrate in Europa o, nello specifico nostro, in Italia.

Nel primo caso si tratta di ragionare dell'interazione tra i paesi. Nel secondo di integrazionetra persone. Sembra una distinzione sottile ma nei fatti non lo è. Investire sulle interazioni tra paesi e sul dialogo non può essere scisso dall'investire sulla integrazione dei soggetti provenienti dal Mediterraneo ma presenti in Italia. Nel primo caso si lavora sul tema della reciproca rappresentazione tra popoli, nel secondo si affrontano le questioni della convivenza tra persone e dello sviluppo di vari ambiti di comunità, da quella civica a quella nazionale.

L'investimento nella conoscenza delle parti non va quindi visto esclusivamente nell'ottica di promuovere una corretta visione dell'europeo e del non europeo, ma va anche nell'ottica di promuovere una corretta percezione e visione del "diverso da sé". E quindi puntare su una campagna che superi i pregiudizi legati all'immigrato tipici di certi populismi così diffusi e crescenti in Europa, che fanno della politica della paura la molla per il consenso.

E' allora necessario riflettere, fra noi connazionali italiani a 150 anni dall'Unità, su un concetto di nazione nel XXI secolo non più solo come la terra dei padri che unisce un popolo dato all'interno di un confine definito, ma, insieme, su una concezione dinamica e a mio modo di vedere più lungimirante della nazione come corpo di persone di diversa provenienza che vive quel "plebiscito che si compie ogni giorno" per citare Renan e condivide una "missione" di crescita e di civiltà.

Proprio la priorità culturale dovrà essere la stella polare di questo percorso che si pone l'obiettivo ambizioso della creazione di una zona di libero scambio con 750 milioni di persone e il 24% del Pil mondiale.

Una priorità culturale che dovrà tener conto delle differenze legate alla sensibilità religiosa. Proprio la rilevazione del rapporto ci ricorda come la diversa percezione della sensibilità religiosa sia uno dei temi più controversi e difficili nei rapporti fra le due sponde del Mediterraneo.

Il riconoscimento di questi problemi implica la necessità di promuovere l'educazione al rispetto di ogni credo religioso. La fede, pur nella pluralità delle confessioni, deve apparire come un fattore di arricchimento e di incontro tra le persone.

Non spetta certo all'autorità politica e civile di entrare nel merito del dialogo interreligioso e delle complesse questioni legate al dibattito teologico. Ma non c'è dubbio che il riconoscimento, nelle tre grandi religioni del Mediterraneo, della comune aspirazione alla pace e alla promozione dei valori umani è un elemento in grado di fornire un importante contributo all'integrazione culturale.

Le testimonianze in tal senso sono quotidiane e innumerevoli. E vengono da uomini e donne che con il loro impegno fattivo e concreto, sia d'ispirazione religiosa sia laica, dimostrano come l'umanità possa prevalere sui pregiudizi dettati dall'integralismo.

Vorrei concludere con un bellissimo inno alla comprensione che è il testamento del Priore, Fr. Christian de Chergè da cui è stato tratto il film "Uomini di Dio" di Xavier Beauvois, vincitore quest'anno a Cannes del Gran Premio della Giuria e candidato dalla Francia agli Oscar.

Ricordo che il religioso fu ucciso dagli estremisti del GIA il 21 maggio del '96 insieme con altri confratelli del monastero di Notre Dame de l'Atlas, 40 km a sud di Algeri.

Così lasciò scritto Padre de Chergè all'inizio del testamento : «Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo Paese».

Dieci giorni dopo la tragedia , giunse una lettera di una donna algerina, musulmana al vescovo di Algeri. Eccone un passo altamente significativo: «Dopo il sacrificio vissuto da voi e da noi, dopo le lacrime e il messaggio di vita, di onore e di tolleranza trasmesso a voi e a noi dai nostri fratelli monaci, ho deciso di leggere il testamento di Christian, ad alta voce e con profonda commozione, ai miei figli perché ho sentito che era destinato a tutti e a tutte. Riposino tutti in pace, a casa loro, in Algeria».

E' mio auspicio che, presso i popoli del Mediterraneo, si rafforzi la consapevolezza che le comuni radici delle rispettive culture affondano nella civiltà dell'uomo.