Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

07/03/2011

Montecitorio, Sala della Lupa - Presentazione del Rapporto "Le donne nelle istituzioni rappresentative dell'Italia Repubblicana: una ricognizione storica e critica", organizzato dalla Fondazione della Camera dei deputati

Autorità, Signore e Signori!

La Camera dei deputati è lieta di presentare il rapporto 'Le donne nelle Istituzioni', redatto dalle professoresse Marina Calloni e Lorella Cedroni, organizzato dalla Fondazione della Camera dei deputati.

Saluto il Presidente della Fondazione, Fausto Bertinotti; e gli ospiti: la giornalista Lucia Annunziata; il Segretario Generale della Cgil, Susanna Camusso; la Vicepresidente di Confindustria, Cristiana Coppola; il Ministro della Gioventù, Giorgia Meloni.

L'incontro di oggi avviene alla vigilia dell'8 marzo, Festa della Donna, una giornata durante la quale si approfondiscono i temi relativi alle conquiste delle donne e quindi anche i temi relativi alla negazione di diritti che si manifesta con la scarsa presenza delle donne in ambiti cruciali della società civile e politica.

Il pregevole rapporto che presentiamo dimostra in primo luogo quanto sia necessario promuovere ogni giorno azioni positive per l'inclusione sociale. Non a caso, in America l'8 marzo è definito Giornata internazionale di azione delle donne. Una differenza non solo terminologica che testimonia un diverso approccio culturale, sicuramente più pragmatico e meno retorico rispetto a quello italiano.

Quest'anno l'8 marzo assume però una connotazione davvero unica e diversa rispetto al passato alla luce delle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia per la quale tante donne si sono battute. E credo che sarebbe importante prevedere iniziative specifiche sul ruolo che le donne hanno svolto per l'Unità d'Italia.

Sul tema che affrontiamo oggi, la parità di genere, si stanno confrontando tutti i Governi del Vecchio Continente e non a caso intervengono le Istituzioni europee per rimuovere gli ostacoli che ancora impediscono il raggiungimento di una effettiva parità di genere.

Perché il problema della parità di genere è un vulnus per la piena partecipazione democratica non soltanto per l'Italia. Soltanto per restare in Europa, appena due settimane fa, il primo ministro britannico David Cameron ha dichiarato di volere il 25 per centro delle donne in tutti i consigli di amministrazione delle grandi società entro il 2015.

Si tratta di una sfida culturale che oltrepassa i confini nazionali. Come è stato giustamente rilevato nel rapporto «la sottorappresentanza femminile nelle istituzioni politiche è uno dei temi maggiormente dibattuti a livello internazionale» (p.3). Ma il problema - si legge nel documento- non è solo formale, ovvero l'aspetto quantitativo di una paritaria presenza femminile, il problema è sostanziale e qualitativo.

Non c'è dubbio sul fatto che il nostro Paese sconti un divario rispetto alla media europea; un divario che aumenta anche tra il Nord e Sud d'Italia: sono molto più numerose le parlamentari provenienti dal Nord che dal Centro-sud (con l'esclusione del Lazio). Una differenza sulla quale è necessario riflettere non solo da un punto di vista politico ma anche da un punto di vista culturale, promuovendo una nuova coscienza civica nel Mezzogiorno che affidi alle donne maggiori responsabilità nelle istituzioni e nel lavoro. Non a caso, la disaffezione alle urne colpisce maggiormente le donne delle regioni meridionali.

L'Italia non può continuare a permettersi ulteriori ritardi nell'obiettivo di raggiungere l' effettiva parità di diritti tra i generi. Sarebbe il tradimento dei valori che hanno ispirato le battaglie di tante donne che hanno lottato per l'Unità d'Italia e per la sua rinascita dopo le macerie della Seconda Guerra Mondiale.

Personalmente ritengo che la maggiore responsabilità di questa carenza nella rappresentatività istituzionale - e non solo - delle donne sia di quella politica che non sempre è stata all'altezza di questa sfida.

Rispetto al passato molti traguardi sono stati raggiunti: ma- è bene sottolinearlo- in virtù di molte difficili battaglie, non certo per la lungimiranza della politica e della sua classe dirigente in massima parte - ieri come oggi - di genere maschile.

La presenza di donne così autorevoli al convegno di oggi dimostra comunque come nella cultura, nella politica, nel lavoro, nell'imprenditoria la donna possa conquistare posizioni di leadership anche in 'condizioni ambientali' sfavorevoli se non tendenzialmente ostili. Non mi riferisco soltanto alla carenza delle politiche di conciliazione nelle quali l'Italia sconta un cronico ritardo rispetto alla media europea, mi riferisco soprattutto al quel tacito, e sottaciuto, spesso negato ma esistente criterio di selezione a causa del quale, a parità di merito, un uomo ha maggiore possibilità di fare carriera rispetto a una donna.

Eppure le statistiche dimostrano che: le donne riescono meglio negli studi, si laureano prima e con voti superiori rispetto agli uomini. Ma, considerando lo stipendio come uno dei parametri di valutazione delle pari opportunità, le donne manager guadagnano circa il 12 per cento in meno rispetto ai loro colleghi. E un dato ancora più sconfortante, è legato alla maternità: tre donne manager su quattro non hanno figli. Per le donne lavoratrici, la situazione non è certo migliore, anzi in certi settori produttivi peggiora vistosamente.

È forse il caso di chiedersi quanto ciò dipenda da una scelta volontaria oppure se si tratti di una scelta indotta da un contesto sociale poco orientato alla valorizzazione delle donne.

A me pare che in Italia, soprattutto nel dibattito politico-culturale, ci sia una netta divaricazione su questo tema tra chi crede nella virtù 'terapeutica' delle leggi nella promozione di cambiamenti sociali - come quelli necessari per le pari opportunità - e chi viceversa ritiene, in nome dell'autoderminazione, che il merito alla fine prevalga sempre e quindi non sia necessario stabilire norme cogenti.

Ritengo che entrambe le posizioni contengano della verità e che il confronto tra i due orientamenti sia sterile, poco produttivo.

È comunque evidente che non si può negare a priori la virtù pedagogica della norma, perché se oggi le donne non fossero tutelate dalla legge con provvedimenti specifici, comprese le contestate quote di genere, le politiche a loro favore resterebbero mere petizioni di principio e sarebbero meno incisive.

Del resto, a supporto di questa tesi, basta leggere il rapporto che presentiamo. Dal 1946- anno in cui le donne parteciparono per la prima volta al voto- a oggi c'è stato uno lento incremento, punteggiato da molte battute di arresto e da inversioni di tendenza, della presenza femminile in Parlamento.

Nell'Assemblea Costituente furono elette 21 donne, alle quali va la nostra gratitudine. Vorrei citarle tutte, mi limito a citarne due: l'onorevole Nilde Jotti, prima donna Presidente della Camera, e la senatrice Angela Merlin, colei che propose il disegno di legge per "l'abrogazione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui" che divenne legge nel 1958: cinquantatre anni fa.

Anche alla sensibilità politica di quelle 21 donne si deve la nitida perfezione di quegli articoli della Costituzione orientati alla tutela della donna e della sua dignità. Sono tanti, alcuni particolarmente significativi: l'art. 3: «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso (…)»; l'art. 29 che statuisce «l'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi»; l'art. 37 quando dice che «la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione». Credo che l'attualità di queste parole sia evidente a tutti.

Si tratta di principi elaborati 60 anni fa, ma che mantengono viva tutta la loro attualità perché, descrivono perfettamente i molteplici ruoli che la donna è chiamata a svolgere nella sua vita sociale, nella consapevolezza che soltanto attraverso la parità di diritti e di opportunità la donna può pienamente conciliare il lavoro e la famiglia.

I principi della parità di accesso e pari opportunità (stabiliti negli articoli 117 e 51) sono stati introdotti soltanto un cinquantennio dopo (nel 2001 e nel 2003).

Sulla rappresentatività femminile nel Parlamento dobbiamo conclusivamente ricordare una nota positiva. Con le elezioni del 2008 si è raggiunto il miglior risultato di rappresentanza femminile: centodieci donne elette alla Camera dei Deputati e quarantasei al Senato della Repubblica.

Quali sono oggi le nuove frontiere per superare la discriminazione di genere e promuovere la pari opportunità? Sono convinto che le nuove frontiere siano la qualità della vita per molte madri lavoratrici: flessibilità dei tempi di lavoro, reinserimento nel mercato del lavoro post maternità, forte potenziamento degli asili nido in tutte le sue forme pubbliche, associative e private; l'introduzione del quoziente familiare.

E poi lotta sempre più serrata a ogni forma di violenza contro le donne potenziando l'azione di prevenzione culturale, adottando misure di contrasto preventivo.

La recente legge sullo stalking rappresenta di certo una bella pagina di civiltà.

Infine, la valorizzazione della capacità decisionale femminile nei governi degli enti locali e regionali, nelle aziende pubbliche e private. Per questo reputo importante il
disegno di legge sulla presenza di genere nelle società quotate.

Il dibattito che si è sviluppato sui mass media e tra i corpi sociali, rappresenta un fattore di crescita della pubblica opinione e promuove la ricerca di una nuova sintesi che garantisca, insieme al rilancio dello sviluppo economico, l'effettiva parità di genere come contributo per la crescita del Paese in termini di inclusione, coesione sociale e di progresso culturale.

Un'azione che va svolta con perseveranza e senza mai dimenticare che la libertà più autentica della donna passa comunque sempre attraverso il rispetto in primo luogo della sua dignità e della sua complessità.