Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

19/04/2011

Montecitorio, Sala della Lupa – Convegno “Randolfo Pacciardi, un protagonista del Novecento”

Autorità, Signore, Signori!

La felice occasione di questo convegno sulla figura di Randolfo Pacciardi è la donazione alla Camera dei deputati dell'archivio personale dell'illustre esponente repubblicano.

Ringrazio la famiglia, rappresentata dal nipote Franco Pacciardi, e Antonio de Martini, che dell'uomo politico fu stretto collaboratore, per aver messo a disposizione dell'Archivio Storico della Camera un fondo di documenti di notevole interesse storico e politico.

Saluto gli illustri relatori: il Presidente emerito della Repubblica, Sen. Oscar Luigi Scalfaro, il generale Franco Angioni, il dottor de Martini, lo storico Paolo Palma, il costituzionalista Giorgio Rebuffa.

Oggi viene inoltre presentato un volume contenente un'ampia e articolata selezione di documenti provenienti dal Fondo Pacciardi. Il libro è stato curato dal sovrintendente dell'Archivio Storico della Camera, dottor Paolo Massa, che saluto e ringrazio, unitamente alla professoressa Giuliana Limiti, cui si deve un'intervista con Pacciardi ora riproposta in un filmato che verrà proiettato nel corso del convegno.

Randolfo Pacciardi è una delle grandi personalità che hanno contribuito a scrivere la storia politica italiana del secolo scorso, "un protagonista del Novecento".

Pacciardi partecipò infatti alla vita della Nazione con dedizione e con un alto senso della missione politica. Fu repubblicano per scelta civile e per ideale di vita, interpretando coerentemente, nel pensiero e nell'azione, i mazziniani doveri dell'uomo, che tanta parte avevano avuto nella formazione di una generazione di democratici e di combattenti per la libertà.

Il suo profilo umano e politico rimanda certo a un'altra Italia e a un altro secolo. Ma c'è, in quella intensa testimonianza civile, una sostanza morale e ideale che non teme l'usura del tempo e che offre significativi insegnamenti anche all'Italia di oggi.

Significativi insegnamenti, a partire dal collegamento tra l'Italia repubblicana e l'Italia del Risorgimento, un legame che non a caso Pacciardi seppe sempre ribadire con convinzione, anche e soprattutto quando le prevalenti correnti politiche dei decenni passati parvero, in una certa fase, porre in secondo piano le storiche radici risorgimentali dell'Italia democratica.

E proprio l'Italia di oggi, che questo vincolo ideale e morale ha invece riscoperto e rilanciato sull'onda del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, può avvertire quanto mai vicina e attuale la prospettiva di questo mazziniano ardente e appassionato che sapeva guardare al capolavoro storico dell'unificazione nazionale senza spirito di parte.

"Conquista irrevocabile. Tappa del civile progresso italiano senza ritorno", così definì Pacciardi quell'evento cruciale della nostra storia in un discorso tenuto in occasione del centenario dell'Unità, nel 1961. "I risentimenti di un secolo fa - come disse - si sono placati. Le delusioni sono sormontate. Tutti insieme possiamo tuffarci nelle grandi memorie della storia, onorarle come tappe di un progresso comune e senza rinunziare alle rispettive credenze per l'avvenire".

La personalità di Pacciardi presenta tanti aspetti che meritano di essere studiati e approfonditi: il senso profondo della laicità dello Stato che ispirò la sua azione politica; l'atlantismo, che egli sostenne sempre con convinzione; la sua concezione liberale in campo economico, che lo portò a denunciare con decisione l'estensione della mano pubblica in vasti ambiti produttivi.

Di particolare interesse è, almeno a mio avviso, l'idea pacciardiana di Nuova Repubblica, che caratterizzò un'importante stagione della sua vita politica e che introdusse nel dibattito, con largo anticipo rispetto al confronto politico e culturale dei decenni successivi, il tema della riforma costituzionale; una questione che determinò la nascita di un movimento volto a esprimere, già alla metà degli anni Sessanta, il disagio di una parte dell'opinione pubblica per quelle che apparivano come le disfunzioni del sistema politico.

La proposta, come è noto, prevedeva come punto qualificante l'elezione diretta del Capo dello Stato, idea che sarebbe stata rilanciata qualche anno dopo da Giorgio Almirante e che era stata in precedenza sostenuta con forza da Piero Calamandrei.

Affermare che il presidenzialismo era un punto qualificante della riforma pensata da Pacciardi non equivale però a dire che in esso si esaurisse l'idea di Nuova Repubblica.

Nella prospettiva dell'uomo politico repubblicano era infatti centrale la preoccupazione di rilanciare il senso dello Stato. E di uno Stato concepito secondo l'idea liberale, cioè "non uno Stato mangiatutto, uno Stato tutto, ma uno Stato semplificato e ordinato".

Centrale era anche l'idea della sovranità del popolo, che andava valorizzata anche attraverso forme di democrazia diretta come le leggi di iniziativa popolare e il referendum. Presidenzialismo e democrazia diretta dovevano comunque affermarsi con le necessarie garanzie costituzionali, a cominciare dal rafforzamento del ruolo di controllo del Parlamento. Vale la pena richiamare un passo tratto dal discorso in cui Pacciardi espose alla Camera, nel 1967, la sua idea di riforma, un passo la cui attualità credo sia incontestabile. Cito testualmente: "Mettere ordine nello Stato, ripristinare la sua autorità legittima, stabilire le competenze e le responsabilità, ripristinare i legittimi controlli, richiamare il Parlamento alla funzione, per cui nacque, di supremo controllore appunto della gestione statale, significa non umiliare e disprezzare la funzione del Parlamento, ma esaltarne i compiti e il prestigio".

Insomma, nella concezione di Pacciardi, presidenzialismo non voleva affatto dire un uomo solo al comando. I suoi modelli di riferimento venivano dalle grandi democrazie occidentali, dove, pur nella differenza che questi modelli offrono, a un Presidente politicamente e istituzionalmente "forte", fa sempre da contraltare un Parlamento altrettanto forte.

Le idee di Pacciardi sul funzionamento del sistema democratico erano decisamente in controtendenza rispetto all'impostazione prevalente negli anni '60 e '70. Non c'è quindi da stupirsi se la sua proposta incontrò il disinteresse, se non l'aperta ostilità, delle forze politiche.

E c'è da dire che la sua era una personalità forte e poco incline ai compromessi. La sua oratoria e la sua prosa erano spesso sferzanti. L'invettiva gli era familiare.

Ma, al di là del suo temperamento, il punto fondamentale è che la sua proposta di riforma si basava su una critica radicale al sistema dei partiti, così come questo si era consolidato nella prassi diffusa dei primi decenni repubblicani. E' opportuno aggiungere che Pacciardi si inseriva in un robusto filone culturale di critica alla partitocrazia che trovava in intellettuali liberali, e quindi certamente democratici, come Giuseppe Maranini e Panfilo Gentile, due degli esponenti più rappresentativi.

Pacciardi contestava sostanzialmente ai partiti di esercitare un potere reale superiore a quello che normalmente caratterizzava la vita politica delle altre democrazie occidentali, un potere tale da alterare la dialettica all'interno delle istituzioni rappresentative.

Pacciardi coglieva indubbiamente talune patologie della vita pubblica italiana, che si manifestavano in particolare nella gestione politica del sistema delle partecipazioni statali e degli enti pubblici, assai diffuso in quegli anni.

Sono considerazioni che vanno contestualizzate e svolte nella consapevolezza che quel sistema dei partiti ha comunque garantito il consolidamento della democrazia nel nostro Paese e che le critiche di Pacciardi sono talvolta condizionate da un appassionato ed eccessivo spirito polemico.

Allo stesso modo, si deve però convenire che l'ostracismo di cui egli fu vittima risultò ingiusto e che, indipendentemente dalle diverse opinioni che si possono avere sul presidenzialismo o sul semipresidenzialismo, il sistema politico italiano perse allora una prima occasione per avviare un processo di rinnovamento e di riforma; con la conseguenza di perpetuare le proprie disfunzioni e di lasciare insoluti problemi con cui, per molti aspetti, facciamo i conti ancor oggi.

Al dunque, possiamo definire Pacciardi un fecondo anticonformista e un coerente democratico. La sua esperienza ci insegna a tenere alte le idealità della politica, affinché non si spengano mai le passioni civili e affinché non prevalga mai quella che potremmo definire la morte bianca della democrazia, cioè la sua riduzione a fatto meramente formale per effetto dello smarrimento delle ragioni della politica e della prevalenza degli interessi sui valori.

In conclusione, la lezione più grande di Pacciardi viene certamente dal suo pensiero politico.

Ma viene anche dalla sua coerente testimonianza umana. E' la testimonianza di un uomo che all'età di diciotto anni andò volontario nella Grande Guerra; che corse vent'anni dopo in Spagna per la difesa della Repubblica dall'attacco dei nazionalisti; che non esitò a rimettersi in gioco all'età di sessantacinque anni per fondare un movimento volto al rinnovamento politico dell'Italia.

Ecco, di lui si può realmente dire che ha davvero mazzinianamente interpretato la vita come missione, quindi che è un esempio morale e ideale da riscoprire e riproporre agli italiani di oggi.

Grazie.