Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

14/11/2011

Montecitorio, Sala del Mappamondo – Presentazione del volume “Patria. Un’idea per il nostro futuro” di Emanuele Conte e Roberto Della Seta

Autorità, colleghi, signore, signori!

Le Nazioni -diceva Tocqueville- sono sempre giovani e non invecchiano allo stesso modo degli uomini. "Ogni generazione che si forma nel loro seno è come un popolo nuovo".

Ho voluto iniziare con questa citazione tratta da "La Démocratie en Amérique" perché mi sembra particolarmente adatta a esprimere il senso del messaggio contenuto nel bel libro di Emanuele Conte e Roberto Della Seta: l'invito a considerare la Patria, al di là del suo essere necessariamente storia e memoria, innanzi tutto come un progetto e un'idea rivolti al futuro.

Saluto e ringrazio gli autori unitamente agli illustri relatori: Maurizio Lupi, Ermete Realacci, Walter Veltroni.

Emanule Conte e Roberto Della Seta esprimono, nelle prime pagine del volume, una considerazione che mi trova pienamente d'accordo : "Oggi, -scrivono gli autori- dopo centocinquant'anni dalla nascita dello Stato unitario, solo mettendo più patria nelle diverse espressioni della nostra vita collettiva, riusciremo a superare i rischi di una progressiva decadenza del posto dell'Italia nel mondo e dello stesso nostro benessere".

Sono parole che assumono particolare forza e rilevanza in queste giornate cruciali in cui la politica deve saper ritrovare quella coesione civile, necessaria per restituire all'Italia credibilità internazionale e per far ripartire il motore della crescita economica.

E' una considerazione che ci fa intendere come il Centocinquantenario - nella convinta e vasta adesione popolare e nella spontanea e ampia germinazione di iniziative in tutto il Paese- ha rappresentato una sorprendente espressione di risveglio civile, che ha superato, per convinzione e partecipazione, ogni più rosea aspettativa della vigilia.

In un anno, il 2011, purtroppo segnato da tante preoccupazioni per la tenuta del sistema economico e sociale e da tante tristezze per taluni fenomeni di degrado della vita pubblica, è accaduto che questa vasta espressione di orgoglio nazionale abbia spezzato il diffuso clima di sfiducia, generando una speranza nuova sul futuro del nostro Paese.

Diversi e notevoli sono i motivi di interesse offerti dal volume, a partire dalla necessaria demarcazione concettuale tra l'adesione a un patriottismo democratico e repubblicano e l'oscura ma sempre presente suggestione per un nazionalismo fondato sui miti regressivi del "sangue" e del "suolo".

E' una contrapposizione che ha attraversato la storia politica e culturale dell'Europa degli ultimi due secoli, ma che deve essere oggi ribadita davanti al manifestarsi, all'interno della società continentale, di sentimenti di paura e chiusura nei confronti della globalità e dei grandi fenomeni ad essa connessi come le migrazioni e l'apertura delle frontiere economiche.

Mai come oggi occorre evitare ogni possibile confusione o equivoco intorno all'idea di Patria. Questa idea deve riaffermarsi come una grande riserva civile volta a rafforzare la coesione sociale e politica necessarie in questi tempi di sfide globali. Ed essa deve anche contenere, come sottolineano gli autori, mete, progetti e traguardi collettivi per il futuro.

E' quindi da respingere ogni tentativo di richiamare in modo improprio le idee di Patria e di sovranità dei popoli, trasformandole in paraventi per populismo, xenofobia o demagogiche opposizioni alla governance sovranazionale dei grandi processi economici che riguardano tutti i Paesi industrializzati.

La Patria del XXI secolo non deve chiudersi nei confini degli Stati nazionali. E deve trovare nella globalità, non una minaccia, ma una inedita opportunità di affermazione perché, obbedendo alle pulsioni della chiusura e della paura, ci si autocondanna alla regressione e alla marginalità rispetto ai grandi processi sociali ed economici del nostro secolo.

Questa linea di demarcazione culturale è efficacemente argomentata nel volume anche attraverso una interessante ricostruzione dell'evoluzione storica dei concetti di Patria e di Nazione, parole queste conosciute nel linguaggio comune come sinonimi ma che sinonimi non sono.

Ad emergere con chiarezza è la centralità , nella storia delle idee, dell'opposizione tra una visione etnica o "biologica" dell'appartenenza nazionale - di cui gli autori scorgono le prime elaborazioni moderne negli scritti di Herder e Fichte- e una visione della Nazione viceversa fondata su un atto della volontà politica e su un ideale di emancipazione sociale e di libertà, visione sostenuta a sua volta da Mazzini, Cattaneo, Renan, Herzl.

La prima cornice culturale conduce al nazionalismo. La seconda porta invece al patriottismo democratico. Solo questa seconda modalità è politicamente feconda, perché, come si legge nel libro, essa "appare oggi molto più vitale, più moderna delle ideologie -il nazionalismo, il marxismo- che l'hanno tanto a lungo tenuta in scacco, e si offre come bussola utilissima per orientarsi tra globalizzazione omologante e anonimizzante e ritorno inatteso e convulso, talvolta drammatico, di una nozione etnicista, esclusivista di identità".

Per quello che specificamente riguarda l'Italia, gli autori sostengono che un progetto nazionale dovrebbe far leva su quelli che, a loro parere, sono le naturali vocazioni del nostro popolo: la tradizione civica e quello che definiscono "spirito conviviale", vale a dire la consapevolezza di essere - cito testualmente - un "popolo molto informale, molto socievole, ospitale e creativo", un popolo molto "affettivo".

Territorialità e convivialità sono dati squisitamente storici, culturali e prepolitici, che però presentano notevoli risvolti economici, politici e sociali. Basti pensare -come annotano Conte e Della Seta- alle "imprese che innovano e competono con successo nel nome di un forte legame territoriale", oppure alle piccole aziende nelle quali l'efficienza e il successo nascono dalla "dimensione non solo economica, ma anche familiare, conviviale del rapporto tra imprenditore e dipendenti".

Queste dimensioni si incontrano nei grandi punti di forza del made in Italy: dalla moda, al design all'agroalimentare e a tutta quella manifattura di qualità che contribuisce a porre l'Italia al secondo posto come esportatore d'Europa.

Gli autori inseriscono però in questa valutazione un elemento problematico: è laddove osservano che territorialità e convivialità possono anche assumere le forme deteriori dell'egoismo localista e del familismo amorale. Insomma, da fattori di dinamismo e modernità possono anche trasformarsi in motivi di immobilismo e ritardo.

Si tratta di un punto indubbiamente cruciale - e non da oggi - di ogni approfondito discorso sulla Nazione in Italia.

Senza entrare nel merito storico e sociologico della questione e concentrando lo sguardo sull'ultimo decennio, ritengo che alla base di molte delle odierne spinte al particolarismo e alla frammentazione vi sia una responsabilità della politica, nel senso di una debolezza della spinta riformatrice e di una insufficiente attenzione al tema della coesione sociale e nazionale.

Mi piace, in conclusione, soffermarmi su una provocazione intellettuale degli autori - provocazione che non condivido, dopo aver condiviso molti altri - nell'ultimo capitolo, laddove affermano che l'idea di Patria sarebbe oggi un'idea di "sinistra" poiché associata a valori come "socialità, solidarietà, cambiamento".

Non vi è certo difficile immaginare la ragione per la quale non mi ritrovo in questa affermazione, non mi si può chiedere troppo. Potrei cavarmela dicendo che non abbiamo qui il tempo per approfondire, ma in realtà voglio dire qualche cosa di più.

Dico che, a mio modo di vedere, usciti dal XX secolo, il secolo delle ideologie e dei totalitarismi, è necessario approfondire in modo nuovo le categorie della destra e della sinistra. In tal senso non credo che l'idea di Patria appartenga in modo esclusivo all'una o all'altra.

Per quello che riguarda in particolare la cultura di destra, almeno come io la intendo, sono fermamente convinto che sia da respingere ogni versione nazionalista della patria, ritengo invece che debba appartenere al patrimonio della destra l'adesione ai valori fondanti la comunità, e quindi il patriottismo democratico e repubblicano.

Credo in ogni caso che questo tipo di dibattito debba caratterizzare in modo più compiuto il confronto politico.

Ritengo infatti che per politica non si debba intendere soltanto l'attività di amministrazione - certamente indispensabile - ma la cura dell'interesse generale della polis.

Se crediamo quindi al primato della politica, dobbiamo saper reinterpretare, approfondire il valore condiviso della patria intesa come comunità nazionale, come rispetto delle regole fondanti della società e come adesione ai valori della prima parte della Costituzione.

Concludo citando una espressione di Renan che mi colpì tanti anni fa e che, con il passare del tempo, ho la presunzione di comprendere sempre di più: "la Nazione è un plebiscito che si rinnova ogni giorno". Questa affermazione sta a significare la necessità, per un popolo che voglia sentirsi comunità legata dal vincolo della patria, di esprimere il proprio senso di appartenenza nazionale nella partecipazione politica attiva.

Tutto ciò non ha nulla a che vedere con l'idea di appartenenza in ragione di vincoli etnici o, peggio ancora, di legami di carattere razziale, linguistico, religioso.