Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

05/04/2012

Montecitorio, Sala della Lupa – Presentazione del VI Rapporto dell’Associazione Management Club “Generare Classe Dirigente. Rappresentanza, responsabilità e crescita”

Autorità, Colleghi, Signore, Signori!

La Camera dei deputati è davvero lieta di ospitare la presentazione del Rapporto 2012 "Generare classe dirigente", realizzato dall'Associazione Management Club con la collaborazione dell'Università LUISS "Guido Carli" e di Fondirigenti.

Saluto e ringrazio il Presidente di Management Club Renato Cuselli, il Rettore della LUISS Massimo Egidi, il Presidente di Confindustria e Presidente della LUISS Emma Marcegaglia unitamente a tutti gli illustri relatori che fornirano i loro approfondimenti al dibattito: l'editorialista del "Sole 24 Ore" Stefano Folli, il Presidente di Federmanager Giorgio Ambrogioni, il Presidente di Piccola Industria Confindustria Vincenzo Boccia, il Segretario Generale della Cisl Raffaele Bonanni, il Presidente della Fondazione Rete Imprese Italia Giuseppe De Rita.

Il Rapporto è stato curato da un gruppo di lavoro formato da Sergio Fabbrini, Stefano Manzocchi, Nadio Delai, Cecilia Jona Lasinio, Carlo Triglia, Giovanna Vallanti, Claudius Wagermann. Agli studiosi esprimo il mio più vivo apprezzamento per le approfondite analisi e gli interessanti spunti di discussione offerti nei loro saggi.

Il documento entra nel grande dibattito di questi mesi sul cruciale tema di come riattivare i meccanismi della crescita economica; e lo fa individuando modalità nuove per concepire il rapporto tra politica e società e per rappresentare le grandi istanze del mondo del lavoro e del mondo della produzione.

"Il rilancio del Paese - si legge nel Rapporto - richiede nuove strutture oltre che nuove politiche pubbliche; richiede nuovi modi di pensare nella classe dirigente del Paese oltre che adattamenti cognitivi alle nuove circostanze".

Ne consegue che, mai come oggi, la politica ha il dovere di proiettarsi con decisione e convinzione nel medio e lungo periodo, governando i grandi processi economico sociali e cercando di anticipare gli scenari del cambiamento.

La sfida della crescita, per essere seriamente e proficuamente affrontata, comporta infatti il recupero della dimensione del futuro. Per troppo tempo, anche per effetto dell'elevato tasso di polemica che ha spesso caratterizzato il nostro bipolarismo, l'Italia è parsa ripiegata nella dimensione del presente, come in una sorta di autosospensione dalla storia che non le ha permesso di cogliere le varie opportunità di riforma offerte dai cambiamenti epocali degli ultimi due decenni.

Una delle grandi opportunità non sufficientemente sfruttata è stata a mio giudizio l'ingresso nell'Unione monetaria europea. Poteva essere l'occasione per una riorganizzazione profonda del sistema Paese e per incisive politiche dirette al superamento di quei ritardi strutturali che riducono le possibilità di crescita dell'Italia.

E' invece accaduto che l'Unione monetaria sia stata in molti casi percepita in modo statico, cioè soltanto come vincolo esterno di bilancio, e non in modo dinamico, vale a dire come stimolo positivo alla razionalizzazione della spesa pubblica, agli investimenti strategici nell'innovazione, nella ricerca, alla semplificazione amministrativa, alla promozione di competitività del sistema produttivo.

Le nuove necessità imposte dal XXI secolo hanno a lungo convissuto, spesso in modo conflittuale, con talune regressive abitudini ereditate dal secolo scorso, prima fra tutte la tendenza a conservare aree di privilegio e di protezione limitando l'affermazione della cultura del mercato e della concorrenza.

Non a caso, proprio l'abitudine a pensare ai problemi del nostro Paese in modo separato dal contesto europeo è una delle criticità più rilevanti segnalate dall'interessante studio che presentiamo oggi.

"Per un decennio almeno - si legge nel Rapporto - si è considerato l'ingresso nell'euro, con i benefici fiscali che comportava (una riduzione condizionale dei tassi di interesse sul debito pubblico) come un extra-bonus da consumare, piuttosto che una preziosa risorsa da investire".

Una reale e decisiva evoluzione in senso europeo della politica italiana è dunque oggi ineludibile, anche perché in tale direzione spinge l'integrazione sempre più stretta dell'Italia con i Paesi dell'area euro per il superamento della crisi dei debiti sovrani; ed è doveroso rilevare che tale integrazione è resa sempre più proficua dal recupero di autorevolezza del nostro Governo e quindi dell'Italia nell'ambito UE.

La sollecitazione di fondo offerta del Rapporto è rappresentata dalla priorità strategica attribuita alla soluzione del problema del particolarismo e della frammentazione, problema che altera da molti anni la dialettica sociale e politica dell'Italia, costituendo un indubbio fattore di ritardo strutturale del nostro Paese.

E' un punto decisivo, perché la sfida della crescita la si vince anche e soprattutto superando definitivamente ogni tendenza alla parcellizzazione della proposta politica e restituendo la parola "interesse generale" alla pienezza dei suoi significati. Questo concetto non può però essere confuso con la somma algebrica degli interessi settoriali, in precaria e spesso conflittuale convivenza tra loro, ma deve richiamare l'idea di un interesse superiore e di un bene comune.

In tal senso, ritengo che l'esito del confronto sulle riforme economiche, sociali e istituzionali, oggetto del dibattito politico di questi mesi, sia da considerare, oltre che nella primaria prospettiva dei suoi effetti diretti sulla vita del nostro Paese, anche come la cartina di tornasole relativa alla capacità delle forze politiche di comprendere la reale posta in palio.

Proprio sulla responsabilità collettiva delle classi dirigenti insistono gli autori del Rapporto. Si parla, nel volume, della responsabilità che ispira le decisioni della politica, ma si parla anche della responsabilità che scaturisce dalla rappresentanza degli interessi economici; quindi la responsabilità delle organizzazioni sindacali, delle associazioni imprenditoriali, delle associazioni di categoria e di tutti i soggetti collettivi che rappresentano le istanze dei vari settori del mondo del lavoro, della produzione, del commercio, delle professioni e che si confrontano sia nel forum sociale sia nel forum politico.

Per gli autori è fondamentale un rinnovamento nella mentalità e nelle modalità di espressione di questa rappresentanza, nel senso del superamento della frammentazione e nel senso dell'aggregazione degli interessi rappresentati. Nel volume si cita l'esempio positivo di Rete Imprese Italia, nata dall'iniziativa di Casartigiani, CNA, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti.

La strategia dell'aggregazione suggerita nel Rapporto non si propone di negare il pluralismo della rappresentanza sociale ed economica in Italia ma di indicare forme nuove di relazione e di dialogo, nella prospettiva di una sempre più efficace promozione dell'interesse generale e del bene comune.

In tale ambito, ritengo sia di particolare interesse il punto in cui gli studiosi propongono, in riferimento ai gruppi dirigenti delle organizzazioni e associazioni degli interessi economici e sociali, una più aggiornata definizione della loro responsabilità verso il Paese, a necessario completamento di quella assunta verso le rispettive categorie.

Gli autori ritengono indispensabile - cito testualmente dal Rapporto - "pensare in modo nuovo al ruolo pubblico, non già politico" - precisano - di questi gruppi dirigenti, i quali "hanno un dovere più generale rispetto a quello di conseguire beni particolari per i loro rappresentanti: quello di promuovere il conseguimento di quei beni particolari che sono coerenti con il conseguimento dei beni generali".

Desidero in conclusione rilevare che la politica può svolgere, con gli strumenti che le sono propri, un ruolo importante nel favorire la cultura dell'interesse generale all'interno dei vari settori dell'economia e del lavoro in Italia.

Può farlo innanzi tutto affermando, con decisione, il principio del bene comune degli italiani su ogni prospettiva settoriale, ancorché rappresentativa di grandi, importanti e legittimi interessi collettivi.

E può farlo, anche e soprattutto, ridefinendo culture, proposte e prassi consolidate nella direzione di un più maturo rapporto con le categorie sociali; un rapporto che rimane certo indispensabile, fondandosi su affinità e vicinanze storicamente e solidamente radicate, ma che non deve essere più condizionato da schemi culturali superati.

Ad esempio, la sopravvivenza della teoria dei "blocchi sociali" relativi agli schieramenti politici - teoria molto in voga nella seconda metà degli Anni Novanta - rappresenta oggi un limite alla definizione di nuove culture politiche realmente innovative, perché tende a porre in artificiosa e spesso esasperata contrapposizione gli interessi del lavoro dipendente, da una parte, e del lavoro autonomo e dell'impresa, dall'altra.

La necessità di un rinnovamento delle culture e delle proposte politiche emerge anche da una ulteriore constatazione: se ripercorriamo la storia della cosiddetta Seconda Repubblica notiamo subito che nessuna coalizione vincitrice in una tornata elettorale ha poi rivinto le successive consultazioni politiche, come invece è accaduto in tante grandi democrazie europee. E anche negli Stati Uniti la tendenza degli ultimi vent'anni appare quella dei due mandati presidenziali consecutivi. E' il segno rivelatore, al di là dei motivi contingenti, che le culture e le prassi politiche emerse negli ultimi vent'anni della nostra storia repubblicana non sono riuscite ad affermare, consolidare e poi far sedimentare idee che siano davvero trainanti e largamente condivise nella società.

Oggi ci sono le condizioni per una decisiva evoluzione della dialettica politica e sociale, se vogliamo ridare loro credibilità. Il grande impegno profuso dal Governo, dalle Istituzioni e dalle maggiori forze politiche per il risanamento e per il rilancio del Paese può condurre a una positiva svolta nella vita italiana.

Sta alla maturità e alla sensibilità dell'economia, del lavoro, ma anche delle forze politiche, saper cogliere a fondo le opportunità riformatrici offerte dalla fase odierna, pur con tutte le sue difficoltà e complessità.

E può davvero essere di incitamento e incoraggiamento la frase conclusiva del Rapporto: richiamandosi a Max Weber, gli autori osservano che "le crisi sono un'occasione per superare il vecchio e far emergere il nuovo".

Cerchiamo tutti di esserne consapevoli e di agire di conseguenza.