Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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INIZIO CONTENUTO

Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

12/01/2013

Cerimonia di conferimento delle Toghe d’Onore e della consegna di Medaglie d’Oro da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli

Signor Presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli, Autorità, Signore e Signori!

Desidero, in primo luogo, rivolgere il mio più sincero ringraziamento a tutto il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli per avermi nuovamente invitato a partecipare a questa importante cerimonia nel corso della quale saranno premiati coloro i quali hanno dedicato alla professione forense 40 anni di passione ed impegno e verranno assegnate le "toghe d'onore" in ricordo di alcuni illustri avvocati recentemente scomparsi.

Passato, presente e futuro della professione forense sono, dunque, oggi qui rappresentati, in una linea di ideale continuità con quella gloriosa tradizione di giuristi napoletani che ha saputo fornire un grande contributo alla crescita morale, civile e sociale dell'Italia.

L'iniziativa di oggi rappresenta anche una preziosa occasione per riflettere attentamente sul rilievo costituzionale e sociale che riveste la professione forense, soprattutto alla luce della riforma approvata dal Parlamento qualche settimana fa, esattamente lo scorso 21 dicembre.

E' un'esigenza particolarmente sentita nell'attuale fase storica, in cui la grave crisi economica e finanziaria chiama tutte le componenti della società ad adoperarsi per favorire la crescita e lo sviluppo del Paese, assicurando, al contempo, giustizia, equità e piena tutela dei diritti.

A tale proposito, dirò subito che la legge di riordino della professione forense, ancora in attesa di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (e che, ne sono consapevole, ha suscitato, nel corso del dibattito parlamentare, alcune fondate preoccupazioni e perplessità nella classe forense), ha avuto come stella polare, l'obiettivo di favorire un profondo ed efficace miglioramento delle condizioni attraverso le quali si esplica l'esercizio della professione, nel rispetto dei principi costituzionali, del diritto dell'Unione Europea e dell'irrinunciabile autonomia dell'Avvocatura medesima.

Tra i principali profili di novità contenuti nella legge vanno segnalati, come ben sapete, l'istituzione della figura dell'avvocato specialista, l'inserimento, tra le attività riservate in via esclusiva agli avvocati, delle attività di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, se svolte nella misura in cui siano connesse all'esercizio dell'attività giurisdizionale, l'obbligo di esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione, pena la cancellazione dall'albo, la nuova e più rigorosa disciplina del tirocinio professionale, con la previsione dell'obbligo del rimborso spese, l'obbligo di formazione continua, ovvero del costante aggiornamento professionale secondo regole che dovranno essere stabilite dal Consiglio Nazionale Forense, il principio di libera determinazione tra le parti del compenso dovuto all'avvocato, salvo il ricorso ai parametri ministeriali in caso di disaccordo, il ripristino del divieto del cosiddetto "patto di quota-lite", le modifiche, infine, alla disciplina del procedimento disciplinare, con l'attribuzione della relativa competenza ad un organo distrettuale.

Al di là del giudizio che si può dare della riforma, è evidente che, attraverso le misure ora richiamate, il legislatore si è prefissato l'irrinunciabile compito di restituire alla professione forense l'alta dignità che le compete e che la sua legge fondativa (il regio-decreto 27 novembre 1933, n. 1578) non era più in grado di tutelare e valorizzare.

A mio avviso, si tratta di un complesso di norme, la cui applicazione andrà attentamente monitorata nel breve tempo, ma con cui si è comunque inteso rafforzare la garanzia dell'indipendenza dell'Avvocato, che costituisce un requisito imprescindibile per assicurare la piena valorizzazione della sua funzione quale soggetto centrale nel sistema di tutela giurisdizionale dei diritti dei cittadini.

Del resto, il "ministero" del difensore, nell'evoluzione dell'ordinamento giuridico italiano, è stato sempre associato al concetto di effettività della tutela dei diritti e, al riguardo, non può esistere uno Stato di diritto senza un'avvocatura libera, in grado di assicurare il puntuale rispetto delle garanzie sostanziali e processuali previste dalla legge a tutela dei singoli.

Il ruolo dell'Avvocatura, inoltre, com'è stato ben evidenziato dalla migliore dottrina costituzionalistica, investe altre funzioni superiori, dal momento che gli avvocati rappresentano oggettivamente un elemento cardinale della cosiddetta "società aperta degli interpreti della Costituzione". Si tratta di quell'insieme di soggetti - magistrati, docenti, esponenti del mondo politico e sociale, accademico e della cultura - che contribuiscono attivamente alla circolazione e alla continua attualizzazione interpretativa di quei principi fondamentali dell'ordinamento che orientano la convivenza civile e promuovono il progresso giuridico.

In quest'ottica, deve, tuttavia, essere sottolineato che la salvaguardia del ruolo costituzionale dell'Avvocatura non può essere disgiunta da una seria riflessione sulle condizioni in cui versa il "mondo" della giustizia, perché essa, come già scriveva Cesare Beccaria nel 1764, "è un'istituzione e un'amministrazione fondamentale per soddisfare le esigenze dei cittadini e per garantire l'efficienza di uno Stato fondato sull'imperio della legge".

Al riguardo, non c'è dubbio che, in Italia, il Titolo IV della Costituzione abbia profondamente innovato rispetto al passato, in tema di ordinamento giudiziario e di norme sulla giurisdizione.

Penso, in primo luogo, a quei connotati di indipendenza della magistratura dal potere esecutivo che continuano a rappresentare la vera garanzia per la tenuta dell'ordinamento democratico.

Magistratura, e non solo quella ordinaria, il cui ruolo è cresciuto progressivamente nel tempo anche per i profondi cambiamenti della società contemporanea: la nascita del cosiddetto "Welfare State", l'affermazione del diritto comunitario e della giurisprudenza della Corte di giustizia europea, i principi del mutuo riconoscimento hanno aumentato gli spazi riservati ai nuovi diritti e fatto crescere le domande di tutela a garanzia dei medesimi.

Al costante sforzo profuso da tutti gli operatori del diritto per un progressivo ampliamento dell'ambito delle tutele giurisdizionali, non è, però, corrisposto nel nostro Paese lo sviluppo parallelo di un efficiente sistema giudiziario basato su un apparato organizzativo adeguato ai bisogni da soddisfare.

L'efficacia del controllo di legalità e della funzione giurisdizionale, in ultima istanza la garanzia di giustizia per i cittadini, risentono pesantemente della inadeguatezza di norme e di strutture cui da troppo tempo Governi e Parlamento, nel succedersi delle legislature, non hanno posto rimedio in modo ordinato e coerente, a partire dallo stanziamento di adeguate risorse finanziarie.

Non a caso il vero e proprio "leit motiv" di ogni discorso sulla giustizia è ancora oggi rappresentato dal deficit di efficienza, che si estrinseca in un'incapacità ormai strutturale del sistema di assicurare una completa definizione dei processi, soprattutto nel settore civile, entro un ragionevole termine di durata.

Recuperare efficienza, credibilità e fiducia nel sistema giudiziario italiano è, quindi, una questione vitale per la nostra democrazia!

Lo chiedono innanzitutto i cittadini e i soggetti economici del nostro sistema produttivo costretti a subire in prima persona, da utenti, l'intollerabile lentezza dei processi che finisce per coinvolgere negativamente anche le possibilità di sviluppo economico del nostro Paese perché, come impietosamente evidenziano alcune prestigiose istituzioni internazionali, l'incertezza del diritto è un potente disincentivo per gli investimenti stranieri in Italia.

A chiedere efficienza del sistema giudiziario è anche la stragrande maggioranza degli operatori del settore, a cominciare proprio dagli avvocati, il cui ruolo di garanti e di difensori dei diritti fondamentali è insostituibile soprattutto nell'ambito delle diverse dinamiche processuali.

La "giustizia", da questo punto di vista, non va concepita come «potere», bensì come «servizio», nel senso più elevato dell'espressione, da rendere, come più volte ha affermato il Capo dello Stato, "ai diritti e alla sicurezza di tutti i cittadini".

Un "servizio" i cui costi e i cui problemi devono essere presi in considerazione al fine di accrescere il benessere dei cittadini e, come in ogni "servizio" che si rispetti, vi è bisogno di un momento in cui si "dia conto" agli utenti del suo andamento, delle carenze che si riscontrano, dei problemi e delle possibili soluzioni per garantire effettivamente i principi costituzionali del diritto di difesa e del "giusto processo" introdotto dal rinnovato articolo 111 della Costituzione.

E' questa la doverosa premessa da cui occorre partire per riformare il settore della giustizia, se non si vuole ripetere l'errore di introdurre misure correttive, o pseudo-correttive, svincolate da una logica d'insieme che garantisca la piena affidabilità ed organicità di tutto l'ordinamento.

In questa logica, come non ricordare che il "servizio giustizia" deve essere valutato ed apprezzato, in primo luogo, in base a canoni di efficacia e produttività misurabili attraverso la tempestività e l'effettività delle risposte alle istanze dei cittadini stessi?

A questo riguardo, ad esempio, si sono dimostrate estremamente utili e vantaggiose le iniziative legislative assunte non molto tempo fa nel campo della digitalizzazione della giustizia ed in quello della semplificazione delle norme di rito nei processi civile, penale ed amministrativo.

Ed è in questo quadro, pertanto, che le altre necessarie riforme da varare, oltre a dover scaturire da un ampio confronto parlamentare tra le forze politiche e tutti gli operatori del settore, primi fra tutti proprio gli Avvocati, non possono e non devono prescindere dalle oggettive valutazioni delle patologie strutturali del sistema giudiziario.

E', quindi, auspicabile, in relazione al processo civile, che, oltre alla semplificazione delle varie fasi del processo, compresa quella istruttoria, si giunga ad un'autentica riforma che potenzi anche gli istituti di risoluzione alternativa delle controversie in materia di diritti disponibili, così come già avviene in tutti gli altri paesi più avanzati.

Allo stesso modo, con riferimento al settore penale, è auspicabile che la doverosa attuazione del principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, posto a garanzia dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, non sia, come ora avviene, praticamente affidata alla discrezionalità dei pubblici ministeri nella scelta quotidiana della miriade di reati da perseguire, bensì si concentri sulle fattispecie delittuose che destano maggiore allarme sociale e che è utile prevenire e contrastare, trasformando, nel contempo, un'ampia serie di fattispecie minori in illeciti amministrativi.

Da qui, l'esigenza di procedere ad un'attenta opera di individuazione dei reati che è necessario depenalizzare.

Queste, in estrema sintesi, potrebbero essere le linee-guida di una riforma che, mi auguro, si possa realizzare, in tempi rapidi, nella prossima legislatura e che, più in generale, e lo sottolineo con forza, dovrà avviare a definitiva soluzione anche la questione del sovraffollamento carcerario, con tutte le drammatiche conseguenze che esso comporta in termini di mortificazione della dignità umana dei detenuti.

E' di qualche giorno fa la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo che richiama ancora una volta l'Italia perché viola, in modo grave, i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove hanno a disposizione meno di tre metri quadrati.

Si tratta, come ha commentato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, "di un nuovo grave richiamo, di una mortificante conferma dell'incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione della pena".

Non si può, quindi, tergiversare ulteriormente! Servono urgenti misure strutturali, così come servono misure alternative alla detenzione negli istituti penitenziari, che tengano, ovviamente, nel dovuto conto le esigenze connesse al delicato problema della sicurezza sociale.

La politica, se vuole dimostrare di saper contrastare quel germe di "sfiducia" che, da troppo tempo, mina gravemente la credibilità delle istituzioni democratiche, ha il dovere di agire!

E se è vero, come certamente è vero, che, senza l'effettivo esercizio del diritto alla giustizia e alla sicurezza, il cittadino non è pienamente libero, deve essere impegno di tutte le forze politiche, anche in questa tornata elettorale, mettere la riforma del nostro ordinamento giudiziario ai primissimi posti dei propri programmi.