Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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INIZIO CONTENUTO

Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

10/10/2008

Venezia, Presentazione del Rapporto 2008 sulla legislazione fra Stato, Regioni ed Unione europea sul tema "Unità, federalismo, democrazia"

Sono molto lieto di partecipare oggi alla presentazione del "Rapporto 2008 sulla legislazione fra Stato, Regioni ed Unione europea".

Ringrazio il Consiglio regionale del Veneto e il suo Presidente per l'ospitalità data a questa importate iniziativa, risultato della fattiva collaborazione fra la Camera dei deputati e la conferenza dei Presidenti delle assemblee legislative delle regioni e delle province autonome, collaborazione che, ormai, si sviluppa da oltre un decennio.

Il Rapporto che oggi discutiamo è promosso, come per le precedenti edizioni, dal Comitato per la legislazione della Camera e consente ogni anno di fare il punto su una questione di particolare rilievo per la vita politica e istituzionale del Paese.

Il tema scelto per il Rapporto 2008 - "il ruolo delle Assemblee legislative nel federalismo fiscale" - è di grande attualità. Siamo prossimi ad un cruciale passaggio parlamentare che affronterà, in tutti i suoi aspetti, l'argomento.

Sono convinto che si tratterà di una discussione ampia ed approfondita, di una grande prova di democrazia all'altezza della portata delle scelte che Governo e Parlamento sono chiamati a compiere nell'interesse esclusivo del Paese.

Da Presidente della Camera non intendo entrare nel merito delle diverse opzioni che saranno discusse di qui a poco dal Parlamento. Il tema del mio intervento, "Unità, federalismo, democrazia", mi induce piuttosto a svolgere alcune riflessioni di ordine generale che spero possa consentire un dibattito più completo sul federalismo fiscale.

Ritengo, innanzi tutto, molto positivo che la discussione sul federalismo riparta, in Parlamento, dall'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, che, come ha avuto modo di sottolineare la Corte costituzionale, è "urgente al fine di concretizzare davvero quanto previsto nel nuovo Titolo V della Costituzione, poiché altrimenti si verrebbe a contraddire il diverso riparto di competenze configurato dalle nuove disposizioni" (cfr. sentenza n. 370 del 2003).

A differenza di altre, l'articolo 119 è stato il risultato di una ampia condivisione fra tutte le maggiori forze politiche. E' una disposizione costituzionale che contiene in felice sintesi tutti gli elementi essenziali di un programma di politica istituzionale molto ambizioso: coniugare la massima espansione dell'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali con il rafforzamento dei princìpi di solidarietà e perequazione.

Discutere su come realizzare questo difficile impegno significa fare uscire la discussione sul federalismo, in particolar modo su quello fiscale, da una dimensione eccessivamente ideologica per ancorarla, invece, alla vera priorità di ogni intervento di riforma: i bisogni dei cittadini. Le riforme in senso federale impegnano, infatti, a ripensare l'intera organizzazione dei poteri pubblici in funzione di questo principio-guida.

E' un programma che ci sollecita verso una pluralità di obiettivi. In primo luogo, nella direzione di abbandonare definitivamente il modello di Stato accentratore che ci ha accompagnato per tanta parte della storia di questo Paese. Le funzioni pubbliche si devono poter svolgere al livello più vicino possibile ai cittadini, eliminando ogni forma di appesantimento burocratico. Dobbiamo per questa via combattere le duplicazioni di poteri e di organi che non rendono rapidi ed efficienti i processi decisionali.

In questo senso, una robusta correzione di rotta è necessaria rispetto a quanto è avvenuto con le riforme legislative legate alla revisione del Titolo V della Costituzione. Tutti oggi riconoscono come quella riforma, accanto ad aspetti indubbiamente positivi, contenga gravi imperfezioni sotto il profilo della sovrapposizione di competenze fra Stato e Regioni, della mancanza di norme di attuazione, della carenza di sedi di coordinamento fra lo Stato ed il sistema delle autonomie. Difetti, questi, che, come è noto, hanno generato e continuano a generare, dinanzi alla Corte costituzionale, un ampio contenzioso fra Stato e Regioni.

Si tratta di lacune del Titolo V che un Paese esposto alla concorrenza internazionale come il nostro non si può permettere.

Con la nuova stagione di riforme dobbiamo puntare a rendere servizi migliori a costi più contenuti; consentire un trasparente confronto fra risorse impiegate e qualità dei servizi erogati, così da permettere ai cittadini di giudicare l'operato di chi ha responsabilità di governo; semplificare gli apparati amministrativi e i corpi normativi; ridurre il carico fiscale complessivo. Non dobbiamo puntare alla quantità, ma alla qualità dei poteri pubblici.

Come ha recentemente affermato Ralf Dahrendorf, cardine del funzionamento della democrazia è che da essa i cittadini non pretendano tutto. Le Istituzioni devono, dal canto loro, essere in grado di fornire una cornice affidabile per il libero dispiegarsi delle energie provenienti dalla società civile. Le riforme in senso federale hanno invece come fine non quello di ampliare la sfera pubblica, ma, all'opposto, di liberare risorse e renderle disponibili per lo sviluppo complessivo del Paese.

I princìpi europei di sussidiarietà, proporzionalità ed adeguatezza, anch'essi contenuti nel testo costituzionale, ci offrono una guida sicura in questa azione. L'appartenenza all'Europa è stata e continua a rappresentare per il nostro Paese uno straordinario motore di modernizzazione e di crescita. Dobbiamo pensare le riforme in senso federale in continuità con questa appartenenza che ormai fa parte del nostro irrinunciabile patrimonio di identità civile.

In tutti i grandi Paesi dell'Unione europea - persino in quelli più legati alla tradizione accentratrice delle grandi monarchie all'origine dello Stato moderno - abbiamo assistito negli ultimi anni ad imponenti processi di espansione delle autonomie territoriali. E' un'evoluzione ineludibile che corrisponde a processi reali di trasformazione delle nostre società che si fanno sempre più complesse e capaci di esprimere forme sempre più avanzate di autogoverno. La comune appartenenza all'Unione ha incoraggiato e reso più praticabili questi sviluppi. Solo una lettura distorta di queste trasformazioni - che purtroppo non è mancata nel nostro Paese - potrebbe, tuttavia, far ritenere che con esse il ruolo dello Stato nazionale vada riducendosi assumendo in qualche misura una posizione marginale. E' vero, invece, esattamente il contrario: in Europa, gli Stati nazionali continuano e continueranno anche in futuro a svolgere una funzione fondamentale per la tenuta dei "sistemi-paese".

Il processo di integrazione europeo non è stato avviato per cancellare la competizione fra le diverse realtà nazionali, ma semmai per renderla più diretta ed aperta, anche se per fortuna non più sul piano militare, ma su quello del pacifico confronto di prestazioni economiche e di qualità democratica.

L'Italia non può certo sottrarsi a questa competizione. Se torniamo all'articolo 119 della Costituzione, troviamo conferma di quanto l'attuazione del federalismo fiscale non diminuisca, ma aumenti le responsabilità dello Stato nel processo di governance di un sistema che si fa necessariamente più articolato. E ciò a partire dalla fissazione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario nell'ambito dei quali si deve svolgere l'autonomia finanziaria delle Regioni e degli altri enti territoriali. Va da sé, però, l'opportunità che i passaggi di risorse da regione a regione avvengano sotto la vigilanza di una adeguata regia tecnica degli uffici centrali dello Stato.

Penso, ad esempio, alla necessità che sia lo Stato centrale ad accertare il criterio afferente alla "capacità fiscale per abitante" che rileva ai fini dell'istituzione del fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante, una condizione imprescindibile per l'attuazione del federalismo fiscale. Solo gli uffici dello Stato possono far ciò, essendo in grado di garantire una sufficiente neutralità in questo campo ed anche di precludere una spirale perversa di inefficienza.

Del resto, a questo riguardo, in giuoco è proprio l'attuazione dell'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, che impone allo Stato di garantire, su tutto il territorio nazionale, i diritti costituzionali fondamentali, il che può avvenire soltanto attraverso il ricorso a meccanismi diversi da quelli che non consentono allo Stato stesso di fungere da autentica "camera di compensazione".

La costruzione di un ordinamento in senso federale costituisce, quindi, un'impresa di straordinaria complessità che necessariamente richiede la attiva partecipazione di tutti i livelli di democrazia che compongono le Repubblica nella prospettiva sancita dall'articolo 114 della Costituzione: Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. Sarebbe, tuttavia, profondamente sbagliato interpretare questo elenco nel senso di una generica parificazione di funzioni fra i diversi enti, che devono rimanere, invece, ben distinte per il buon funzionamento complessivo del sistema.

Il decisivo avanzamento del principio dell'autonomia anche fiscale degli enti territoriali deve avere come suo corrispettivo l'altrettanto chiara affermazione dell'ineludibile funzione di "chiusura" del sistema da parte dello Stato in relazione alla garanzia dell'unità giuridica e dell'unità economica della Nazione e alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti a tutti i cittadini ovunque si trovino.

Nel momento in cui ci accingiamo a varare questa importante riforma, deve essere a tutti chiaro che nessuna area del Paese sarà lasciata indietro. Mai come oggi i cittadini rivolgono ai poteri pubblici una domanda di sicurezza e di tutela rispetto a minacce che rischiano di mettere in discussione lo stesso modello di democrazia sociale costruito in oltre sessant'anni di pacifica convivenza civile. Dobbiamo continuare a rispondere pienamente a questa domanda.

La costruzione del federalismo fiscale deve costituire, sotto questo punto di vista, l'occasione per riscoprire il senso stesso del termine "federalismo" che deriva da foedus, patto fra i cittadini. Questo patto, che ci tiene uniti, è troppo spesso dato per scontato e quasi banalizzato: le riforme ci devono aiutare a rinnovare la consapevolezza e la straordinaria forza politica di questa volontà di stare insieme che unisce gli italiani.

Solo un approccio superficiale può, quindi, porre in contrapposizione federalismo ed unità nazionale. E' vero, piuttosto, che il primo è destinato a rinnovare il modo in cui concepiamo la seconda. Il modello di nazione "sangue e terra", che ha dominato nei due secoli passati anche con le sue nefaste degenerazioni, è definitivamente alle nostre spalle. E', invece, davanti a noi il compito di costruire e difendere la Nazione come comunità politica aperta e pluralista.

In questa costruzione pluralismo non vuol certo dire relativismo, ma, al contrario, volontà di difendere fermamente i valori fondamentali che stanno alla base della convivenza democratica. Fra questi valori, il principio cardine dell'unità e della indivisibilità della Repubblica viene non a caso posto dall'articolo 5 della Costituzione a fondamento dell'intera architettura delle autonomie territoriali. Unità nazionale e principio autonomistico devono, pertanto, essere concepiti come valori guida che concorrono a formare il tasso di crescita democratica del nostro Paese.

E' una "visione", questa, che ci deve indurre ad attuare, come recita lo stesso articolo 5 della Costituzione, il più ampio decentramento nell'organizzazione amministrativa dello Stato. In secondo luogo, ad adeguare - è ancora la disposizione costituzionale ad imporcelo - i princìpi ed i metodi della legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.

Ci troviamo appunto qui oggi a discutere di metodi della legislazione fra Stato, Regioni e Unione europea. Si tratta di un argomento nient'affatto tecnico, ma che solleva un aspetto decisivo del ruolo delle assemblee elettive e del loro rapporto con gli esecutivi. L'alleanza che ormai da diversi anni abbiamo stabilito fra le assemblee rappresentative dei diversi livelli di governo costituisce uno strumento indispensabile per affrontare in modo coordinato problemi comuni.

Quali che siano gli esiti del dibattito sull'istituzione di una Camera delle autonomie, la piena attuazione dei princìpi contenuti nell'articolo 119 della Costituzione richiede, in ogni caso, anche un adeguamento delle procedure con le quali Governo e Parlamento affrontano le principali decisioni di carattere finanziario che incidono sull'intero sistema della finanza pubblica. Il patto di stabilità interno rappresenta un'altra forma di manifestazione di qual patto fra lo Stato e i diversi livelli territoriali che costituisce l'essenza stessa di ogni ordinamento federale. Per governare un sistema necessariamente molto più complesso rispetto al passato, assemblee ed esecutivi, Stato ed autonomie devono imparare a parlare un linguaggio comune, devono poter fare riferimento a parametri comuni e basi conoscitive condivise in ordine alle grandezze contabili e finanziarie.

Il Rapporto sulla legislazione che viene oggi qui presentato costituisce un ottimo esempio di uno sforzo di analisi in questa direzione che ha impegnato la Camera dei deputati insieme alle assemblee regionali, nonché alcuni dei più avanzati centri di analisi scientifica della legislazione nel nostro Paese.

La costruzione nel corso degli anni di questa condivisa piattaforma conoscitiva è la premessa migliore per l'ulteriore ruolo al quale sono chiamate le assemblee rappresentative nel processo di riforma. Le Assemblee sono la massima sede del pluralismo politico strutturato nel confronto fra maggioranza e opposizione. Il loro pieno coinvolgimento è la garanzia migliore per conferire oggettività e stabilità ai principali parametri di riferimento finanziari e per costruire la più ampia base di consenso possibile per riforme che sono da realizzare non nell'interesse di questa o quella parte politica, ma dell'intero Paese.

Alexis de Tocqueville, in alcune classiche pagine della sua Democrazia in America, tesse le lodi del federalismo americano che ai suoi occhi appariva come la formula politica allora più avanzata per coniugare il dinamismo e la partecipazione democratica delle comunità locali con l'orgoglio di appartenere ad una delle nazioni più potenti e ricche della terra. Un prodigio, questo, reso possibile, per Tocqueville, sia dall'amore per la libertà coniugato a pragmatismo tipico del popolo americano, sia dalla costante preoccupazione a disegnare gli ordinamenti legislativi in funzione delle necessità dei cittadini, anziché viceversa.

Sono convinto che quel "prodigio" possa ripetersi anche qui in Italia e che quei medesimi princìpi possano ispirarci anche nella nuova fase di riforme che stiamo per affrontare. In questa prospettiva, l'iniziativa odierna costituisce un contributo non secondario per avviare sui giusti binari una discussione, come quella sul federalismo fiscale, che non può che essere alimentata da un dibattito di carattere veramente nazionale al quale partecipino tutte le forze vive del Paese.