Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

18/11/2008

Montecitorio, Sala della Lupa - Convegno "Religioni per la pace" con la partecipazione dell'Arcivescovo Rino Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia Pro Vita, del Rabbino Giuseppe Laras, Presidente dell'Assemblea Rabbinica Italiana, e dello Shay

La pace è un valore universale che accomuna credenti e non credenti. Nel suo nome si incontrano e dialogano i fedeli di diverse confessioni.

Allo sviluppo di tale dialogo non possono rimanere indifferenti le Istituzioni laiche, nella consapevolezza che la necessità di respingere gli odierni attacchi alla civiltà dell'uomo richiede una convergenza di sforzi per la costruzione di un mondo affrancato dalle guerre, dalle discriminazioni e dagli integralismi.

Saluto e ringrazio l'Arcivescovo Rino Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia Pro Vita, il Rabbino Giuseppe Laras, Presidente dell'Assemblea Rabbinica Italiana e lo Shayk Abdal Wahid Pallavicini, Presidente della Comunità Religiosa Islamica Italiana, per aver accolto il nostro invito a fornire il loro autorevole contributo sul tema del dialogo interreligioso nella prospettiva del percorso di pace nel mondo. Saluto inoltre, e lo ringrazio per la Sua presenza, il Vicepresidente del Senato Vannino Chiti.

Questo convegno vuole rappresentare, per la Camera, un'occasione di ascolto e di attenzione, nel segno di una laicità aperta e dialogante. Una laicità fondata sull' "esercizio non dogmatico della ragione e sulla sua naturale attitudine a interrogarsi", come ha dichiarato il Capo dello Stato nel corso dell'incontro con Papa Benedetto XVI svoltosi al Quirinale nel giorno di San Francesco Patrono d'Italia.
Il tema delle religioni per la pace è imposto dalla storia di questi anni. Sia le Istituzioni della politica sia i rappresentanti delle grandi confessioni monoteiste assistono con preoccupazione crescente al fenomeno della strumentalizzazione dei sentimenti religiosi a fini politici.

Nelle nuove guerre l'integralismo gioca un ruolo di primo piano. In troppi Paesi l'appartenenza a una fede è fattore di esclusione e discriminazione.

In questi ultimi mesi siamo stati testimoni sgomenti di una recrudescenza delle violenze contro le comunità cristiane in varie parti del mondo. Ed è sempre viva in noi la memoria degli orrori perpetrati nel decennio scorso in Bosnia contro la popolazione musulmana, mentre assistiamo con allarme al ripetersi di gravi episodi di antisemitismo, specialmente in Europa e in Medio Oriente.

Credo che non sia del tutto casuale il fatto che questo convegno coincida con il giorno che vide le Camere protagoniste di una delle pagine più vergognose della nostra storia, quella dell'approvazione delle leggi razziali, ed è un memento di cui bisogna essere coscienti.

L'esasperazione dell'identità religiosa tende spesso a congiungersi con il nazionalismo e si combina, in numerosi casi, con le contese geoeconomiche e geopolitiche che producono inimicizie tra popoli o tra comunità etniche all'interno di uno stesso Stato.

Grande è l'interesse delle Istituzioni affinché si diffonda l'idea, in particolare nei Paesi sconvolti dall'odio, che le religioni siano fattori di incontro tra gli uomini e che ovunque sia salvaguardata la libertà di ognuno di professare il proprio credo, come sancisce l'articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani promossa dall'Onu, di cui ricorrerà il prossimo mese il sessantesimo anniversario.

Non spetta certo all'autorità politica e civile di entrare nel merito del dialogo interreligioso e delle complesse questioni legate al dibattito teologico. Né va dimenticato che tale dialogo si svolge con obiettivi e finalità spirituali che vanno al di là dell'attuale fase storica.

Ma non c'è dubbio che l'incontro dei tre grandi monoteismi intorno al valore della pace rappresenti per tutta la comunità internazionale un grande fattore di speranza per un futuro di stabilità, nel segno della cooperazione tra popoli e della promozione dei diritti dell'uomo.

Un altro motivo per guardare con interesse allo sviluppo del dialogo interreligioso riguarda la vita interna dei Paesi europei che sono interessati dai fenomeni del multiculturalismo e delle grandi migrazioni.

Le Istituzioni di questi Paesi hanno oggi il compito di costruire un futuro di coesione attraverso l'affermazione di un progetto di società che coinvolga tutti i cittadini e che sappia valorizzare la ricchezza di culture offerta dalle varie comunità di stranieri che decidono di stabilirsi in Europa.

E' mia convinzione che lo Stato debba promuovere l'educazione alla tolleranza, al dialogo e al rispetto reciproco tra cittadini di diversa cultura etnica e religiosa, in nome di quei valori di libertà e di tutela dei diritti della persona che sono a fondamento della nostra società.

Assistiamo purtroppo al verificarsi, nel nostro come negli altri Paesi europei, di manifestazioni di razzismo, antisemitismo e islamofobia. E' dovere delle Istituzioni impedire che tali fenomeni si diffondano curando le patologie collettive da cui scaturiscono. Queste malattie, vecchie come il mondo, sono innanzi tutto l'ignoranza e il degrado sociale.

Ma c'è, più in profondità, una grande malattia che si chiama paura. Paura del diverso e insicurezza diffusa sono espressioni tipiche delle società in crisi di coesione e di prospettive.

La grande sfida odierna è quella di ricostruire la fiducia sociale. E' una grande sfida politica e passa per la modernizzazione delle strutture economiche, tecnologiche, istituzionali e amministrative.

Ma è soprattutto una grande sfida culturale e passa per il rilancio di un progetto educativo che sappia diffondere mentalità e valori adatti a una società aperta, pluralista e innovativa.
La possiamo chiamare la grande sfida dell'identità collettiva.
I rappresentanti delle comunità religiose possono fare molto per permettere alle Istituzioni e alla società di vincere questa sfida.

Il loro aiuto è prezioso, tra le altre cose, per diffondere presso i nuovi cittadini che arrivano da luoghi lontani l'idea che il Paese che li accoglie può essere per loro una nuova patria, non tanto nel senso etimologico del termine - terra dei padri -, quanto evolutivo, nel senso di una terra di cui ne hanno riconosciuto i valori, soprattutto quello del rispetto della vita umana; solo in tal senso può essere intesa come nuova patria. Una patria che rispetta la loro cultura e i loro sentimenti religiosi. Una patria che, a sua volta, chiede rispetto e, soprattutto, la condivisione di un destino comune.

Per quello che specificamente riguarda lo Stato, ritengo che siano maturi i tempi, come già ho avuto modo di ribadire, per una nuova legge sulla cittadinanza per quegli stranieri che aderiscano ai valori di fondo della nostra società. Penso in particolare a quei bambini che già studiano nelle nostre scuole. Occorre preparare il loro futuro di nuovi italiani.

Questa attenzione alla dimensione pubblica della religione aggiunge un ulteriore profilo all'azione che le Istituzioni italiane ed europee già svolgono per mantenere saldi i vincoli sociali.

Questo compito è il frutto di una inedita situazione storica. Ma non è, a ben vedere, un compito del tutto nuovo. Vale la pena ricordare che lo Stato moderno si affermò in Europa con l'obiettivo, tra gli altri, di mettere fine alle guerre di religione che avevano distrutto l'unità spirituale del Vecchio Continente tra il XVI e il XVII secolo. Nella pace di Westfalia fu sancito il principio della tutela delle minoranze religiose all'interno dei singoli Paesi.

Jean Bodin, il grande teorico dello Stato, scrive già nel 1573 che l'autorità politica deve proteggere tutti i culti. Nella visione del giurista francese lo Stato stesso è una cornice istituzionale all'interno della quale è possibile la convivenza di diverse religioni.

L'odierna cultura della laicità s'è certo nutrita con l'illuminismo del XVIII secolo e con le elaborazioni successive. Ma è importante oggi riconoscere che, già all'alba della modernità, la neutralità degli Stati europei in materia religiosa voleva dire essenzialmente neutralizzazione del conflitto tra fedi.

Dentro la cultura della statualità c'è quindi una vocazione storica per la pace religiosa. L'evoluzione sociale contemporanea la fa riemergere e stolta sarebbe quella classe dirigente che non ne ravvisasse la necessità. Riscoprirla vuol dire oggi innanzi tutto promuovere il dialogo tra lo Stato e le confessioni in vista del bene comune. I valori più alti della modernità (innanzi tutto la libertà dell'individuo) possono e debbono essere coniugati con il messaggio di rispetto della dignità della persona che viene dalle grandi tradizioni dei monoteismi.

La sfida per la pace è una sfida comune. E può essere vinta insieme da tutte quelle forze, laiche e religiose, che affermano con convinzione e determinazione i valori dell'uomo.

Per poter giudicare le pagine tragiche della nostra storia - se si può giudicare - il paradigma da cui partire è quello della dignità della persona umana.